AUTARKH – Emergent

Pubblicato il 04/11/2023 da
voto
7.0
  • Band: AUTARKH
  • Durata: 00:45:37
  • Disponibile dal: 10/11/2023
  • Etichetta:
  • Season Of Mist

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È un cambio di paradigma notevole quello al quale si sono sottoposti gli Autarkh per il loro secondo album “Emergent”.
Il progetto avviato dall’ex Dodecahedron Michel Nienhuis nel primo album, a dispetto di premesse più legate al mondo dell’industrial/elettronica – dati componenti e rispettive mansioni – si era contraddistinto per un impasto sonoro dal taglio abbastanza old-school, nella componente metal. Un death-thrash diretto, tecnico ma adrenalinizzato, appuntito ed energico a sufficienza per regalare emozioni labirintiche e ansiogene, quanto in grado di appagare un ascolto più viscerale e in amicizia con i bassi istinti. Poi, certo, l’apparato industrial, in termini di effettistica, disegno del suono e ritmiche, era fondamentale alla riuscita dell’esordio “Form In Motion”: nonostante ciò si percepiva come il baricentro sonoro, consciamente o meno, fosse spostato verso l’extreme metal, con tutte le sue ruvidezze e convenzioni. Lasciando che la componente più alienante e non metal fungesse da guarnitura e divagazione, desse atmosfera ma non prevalesse nell’orientare nettamente le scelte stilistiche.
Per “Emergent” ci pare quasi di parlare di un altro gruppo. Di thrash e death, intanto, manco a parlarne. “Emergent” dialoga di macchine che lavorano per altre macchine, la deumanizzazione, un po’ come sta accadendo nel nostro quotidiano, appare perfettamente concretizzata, con tutte le ricadute del caso. Le chitarre si sfilacciano e deformano per farsi materia quasi onirica, per nulla frenetica, si prostrano a un andamento e una conformazione meccanica, lasciando che siano soprattutto le ritmiche digitali e l’elettronica a caratterizzare pienamente i brani. I ritmi, da irruenti e tentacolari che erano, si placano, le tracce si sviluppano di prevalenza assorte e contemplative, squadrate e rigorose, evocando i Fear Factory meno feroci, gli Strapping Young Lad (anch’essi, nelle loro versioni meno roboanti) e, in collegamento a questi ultimi, una bella fetta del Devin Townsend solista.
Vuoi per le linee vocali, vuoi per questo tenersi su tempi sospesi e dilatati, attualmente gli Autarkh rimandano in molte occasioni al genio canadese, del quale paiono porsi a epigoni nelle idee ‘di mezzo’, quelle poste tra l’estremamente melodico e le orge di violenza. Il pensiero potrebbe correre a “Ocean Machine. Biomech” e a qualche sortita su musiche lievemente più accese, nelle tonalità e nella ruvidezza. Ma, complici appunto le effettate voci pulite, il loro dibattersi tra relativa calma e urla mai troppo sporche, facendoci inalare a pieni polmoni sentori sci-fi e alienazione, l’ombra del buon Devin pare allungarsi sempre di più, su un disco che la prende larga, nel darci emozioni, e convince un poco per volta.
Contrariamente a “Form In Motion”, subito deragliante e scoppiettante, qua serve pazienza e lasciare che la musica sgoccioli integralmente nella sua pacatezza, snodandosi come un sonnacchioso serpente, prima che possa aver comunicato tutto quanto aveva da esprimere. La tracklist è in fondo abbastanza uniforme nelle sensazioni evocate, anche se le singole tracce hanno modo di caratterizzarsi per evidenti peculiarità. Le alternanze di lente sferragliate e voci pulite gelidamente novantiane sono particolarmente efficaci nell’opener “Open Focus” e nella successiva, claustrofobica, “Strife”, con entrambe che crescono nel tempo, con la comprensione di come interagiscono i diversi strati di suono.
In “Trek” appaiono accelerazioni falcidianti di un certo qual tenore, ma è un’esperienza breve, una variazione sul tema che non intacca il quadro di una musica che induce alla meditazione e all’ascesi. “Refocus” prevede a sua volta qualche scampolo d’assalto e parentesi vagamente groovy, ma si rimane, appunto, nel novero delle varianti attorno a un tema comune. In “Eye Of Horus” l’atteggiamento diventa talmente zen da scomodare accostamenti coi Cynic meno metallici, almeno per alcuni passaggi, questo la dice lunga su quale sia l’atteggiamento con cui il disco è stato scritto e interpretato.
Nonostante le buone idee messe in mostra e l’algida, catatonica atmosfera generale, che dà un carattere piuttosto personale a “Emergent”, l’ascolto in alcuni punti è fin troppo tranquillo, quasi che dovesse condurci a uno stato di ipnosi. Una sensazione anche gradevole, per carità, e probabilmente mirata da parte della band, ma che non ci permette di farci completamente catturare da questo secondo capitolo della saga Autarkh. Rimane, questo sì, un disco pieno di spunti interessanti e che troverà una sua nicchia tra gli appassionati di industrial metal, avendo ben chiara la natura abbastanza soft ed eterea dei suoi contenuti.

 

TRACKLIST

  1. Open Focus
  2. Strife
  3. Duhkha
  4. Trek
  5. Refocus
  6. Aperture
  7. Eye Of Horus
  8. Countless Kaleidoscopes
  9. Ka
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