9.5
- Band: AUTOPSY
- Durata: 00:37:54
- Disponibile dal: 22/04/1991
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Halidon
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Affermazione: il death metal lento. Questione: esiste? Sì, e ve ne riassumiamo velocemente la storia. Nel 1988, il diciannovenne Chris Reifert molla i Death (anche lui…), che dopo il disco d’esordio, da San Francisco, decisero di tornare in Florida. Il giovane Chris, rimasto appiedato, decise di fondare una band tutta sua, di nome Autopsy, che nel giro di un anno e due demo riesce ad esordire con “Severed Survival”, album che mostra già una certa emancipazione dal modello di death metal imperante all’epoca. Come si conviene a chiunque intenda la musica come pura espressione personale, col tempo il gruppo impara a far collimare al meglio tutti gli aspetti più caratteristici della propria musica, forgiando uno stile assai personale che tocca l’apice con la seconda release, “Mental Funeral”, del 1991. L’ascolto di questo disco ci racconta di un gruppo che costruisce le proprie canzoni su un numero limitato di riff rocciosi, fondando la sua idea ritmica su tempi medio-lenti (sporadicamente spezzati da accelerazioni improvvise del doppio pedale, buona – dunque – la gestione dei cambi di tempo) e riuscendo a muoversi liberamente a cavallo del confine tra groove e atmosfere soffocanti, a loro volta rivitalizzate da qualche bel solo, ben più armonizzato di quanto non fosse d’uso all’epoca. In tale contesto la voce di Chris Reifert, probabilmente uguale a quella dell’orco pedofilo con cui – da bimbi – ricattavano ogni vostro malestro, si fa ineguagliabile narratrice d’osceno, come avviene in pezzi quali “Dead”, che ammorba con la sua melodia putrefatta, e “Slaughterday”, grazie al suo riff quadrato che incalza caoticamente in linea spezzata. Ovviamente, ogni grande gruppo è tale perché sa come dispensare chicche con nonchalance tale da deliziarvi subdolamente: in questo caso si tratta del blues. Chiaro, non il delta-blues degli anni trenta, si parla – piuttosto – di quel blues che è giunto fino al metal passando dai Black Sabbath: solo per questo, solo per aver pensato di contaminare il death metal con il più grande gruppo mai uscito da Birmingham, gli Autopsy meriterebbero la vostra sempiterna devozione. Se volete dei punti di riferimento concreti, ascoltatevi “In The Grip Of Winter”, “Torn From The Womb”, “Hole In The Head” e “Destined To Fester”, sabbathiana principalmente per l’uso che si fa del basso nella parte centrale. Si prosegue con un paio di schioppettate velocissime e poi si chiude con la lenta title track, lasciando di “Mental Funeral” l’impressione dei passi pesanti di un elefante stonato che procede al ritmo di una marcia funebre lisergica (permetteteci questa citazione, ndA):a nessuna luce, dunque, è concesso di infettare la nera coltre emotiva in cui si agitano le visioni degli Autopsy, contraendosi fino a gocciare un densissimo distillato musicale che ancora oggi sorprende per attualità, ineguagliato nella sua specie, e per fascino, supportato dai suoi suoni retrò.