8.0
- Band: AVATAR
- Durata: 00:45:28
- Disponibile dal: 07/08/2020
- Etichetta:
- Gain Music Entertainment
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Definire il genere musicale proposto dagli svedesi Avatar non è certamente un compito facile e, conoscendo le dichiarazioni di Johannes e soci, possiamo assicurarvi che si tratta di una caratteristica voluta e calcolata, col preciso scopo di fornire un’identità personale e sfaccettata ad una delle formazioni più popolari degli ultimi anni. Tuttavia, una cosa è sicura: il loro ottavo album “Hunter Gatherer” incarna sicuramente l’essenza più oscura e violenta del loro estro, a partire dal tema incentrato sul decadimento dell’umanità verso un futuro incerto, fino ad arrivare a un comparto musicale che riporta apparentemente e parzialmente indietro le lancette, al periodo in cui lo stile predominante degli Avatar si avvicinava molto al death metal a tinte melodiche.
La iniziale “Silence In The Age Of Apes” rispecchia appieno quanto appena detto, diversamente da una successiva “Colossus” molto più lugubre e tetra, con delle influenze che ci riportano alla mente quanto fatto dal compianto Peter Steele nei suoi Type O Negative, seppur senza quella componente gotica così esasperata. Il fischio di Corey Taylor degli Slipknot, qui in veste di ospite, ci accoglie all’apertura della cosiddetta “A Secret Door”, la quale cela al suo interno un nucleo a suo modo evocativo ed epico, con una sana alternanza di ferocia e malinconia, accostabile ai due estratti precedenti per via della sua volontà di essere una sorta di manifesto della modernità, come affermato anche dalla band stessa.
Con “God Of Sick Dreams” e “Scream Until You Wake” emerge nuovamente la verve più aggressiva e martellante degli Avatar, ma sempre mantenendo intatta quella componente melodica così particolare e riconoscibile al primo ascolto, che in questo caso pare quasi rattristarsi man mano che si procede con la scaletta, modulando in una sorta di rabbiosa disperazione in “Child” e “Justice”, per poi giungere al culmine nella toccante ballad “Gun”; quest’ultima appare tanto essenziale e basilare nella sua fragilità quanto affilata come vetro, con un testo che andrebbe fatto leggere a fin troppe persone di questi tempi.
Basta poco però perché la collera infernale degli Avatar divampi nuovamente come un fungo atomico, in una “When All But Force Has Failed” breve, estrema e smitragliante come nessun’altra, che trova poi nella conclusiva “Wormhole” una sorta di evoluzione spontanea e decadente in cui c’è poco posto per le note allegre, sostituite qui da un incedere tutto sommato orecchiabile, seppur scuro come il petrolio e avvolgente come una nube di smog. Il tutto interpretato con classe magistrale da quel vocalist poliedrico e carismatico che è il sopracitato Johannes Eckerstorm, nonché da una un quartetto di musicisti completi e mai banali nel loro modo di far parlare i loro strumenti.
Sebbene si tratti inevitabilmente di un parere soggettivo, chi vi scrive si sente di affermare che siamo in presenza del miglior album mai composto dagli Avatar, in cui le varie derive prese dalla band nel corso degli anni collidono, raggiungendo di fatto la loro perfetta maturazione senza mai risultare troppo presenti o anche solo vagamente assenti. Un album folle e ferale, ma anche riflessivo e intelligente, che ci mette di fronte alle pieghe negative del mondo e nel contempo proietta la band ancora più in alto di quanto già non fosse; e a questo punto il nostro pensiero va a quando sarà finalmente possibile avere nuovamente della musica dal vivo degna di questo nome, poiché sarà in quella circostanza che i brani appena trattati daranno conferma ulteriore della loro forza.