8.5
- Band: AVATARIUM
- Durata: 00:45:17
- Disponibile dal: 21/10/2022
- Etichetta:
- AFM Records
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Nati circa dieci anni fa come progetto di Leif Edling dei Candlemass, gli Avatarium si sono progressivamente affrancati dalla presenza del proprio mentore che, negli anni, si è allontanato dalla band per problemi di salute, fino a non farne più parte. Gli altri membri della formazione, però, sono stati in grado di camminare con le proprie gambe, dando l’impressione di essere sempre in costante crescita, album dopo album, e tale processo continuo ed inesorabile ha condotto gli svedesi fino a questo nuova uscita, “Death, Where Is Your Sting”, la quinta della serie, che segna un ulteriore smarcamento dal doom più classico di cui Edling era maestro, verso nuovi lidi, sempre nei limiti del metal ma con un ampio range di influenze esterne, e con obiettivi chiari e focalizzati: ormai, possiamo dirlo con certezza, le redini sono saldamente nelle mani della coppia (anche nella vita) composta dal chitarrista Marcus Jidell e dalla cantante Jennie-Ann Smith, capaci di caratterizzare con la loro personalità composizioni sempre più solide ed accattivanti.
“Ci sono tutti questi strati nel nuovo album; è intellettuale, è esistenziale, si parla in modo serio di religione, filosofia e psicologia, ma puoi comunque goderti la musica e perderti nei riff“, così la stessa voce della band svedese descrive il nuovo disco che, in effetti, contiene i pezzi più intimi e raccolti mai composti dagli Avatarium e contemporaneamente riesce ad essere godibile anche sotto il profilo musicale. Il tema che aleggia su tutte le composizioni è quello della morte che, da una parte, viene vista come qualcosa di drammatico ed ineluttabile, ma dall’altra viene sbeffeggiata, a partire dal titolo stesso – ispirato ad un passo biblico – una specie di sospiro di sollievo dopo aver visto la fine da vicino ma averla in qualche modo evitata; le liriche della titletrack non potrebbero essere più chiare in merito: “Did you come to deck my grave?/Did you come to settle matters this time?/Am I disappointing you?/After all it seems I’m still alive“. Probabilmente questo stato d’animo ondivago è dovuto alle difficoltà vissute durante la pandemia, con le registrazioni più volte rimandate e con la paura che l’album riuscisse male per questo motivo ma, al contrario, proprio questa urgenza ha conferito una forza espressiva enorme agli otto brani. I riff doom ci sono sempre, potenti ed affilati, ma sono accompagnati da soluzioni eleganti e raffinate, con arrangiamenti ricercati e mai eccessivi o cervellotici, in cui affiora nitida l’anima prog dei cinque scandinavi; ed è così che molte canzoni assumono le sembianze di semi-ballate oscure, dalla toccante “Mother Can You Hear Me Now”, caratterizzata da un lungo assolo malinconico, fino agli archi di “A Love Like Ours”, storia di un amore sofferto. “God Is Silent” è un inno alla disperazione, con chitarre energiche ed un ritornello che ci urla in faccia come nessuno possa porre rimedio a ciò che sta accadendo, ma il culmine poetico è, senza dubbio, “Stockholm”, con un inizio impetuoso che subito si stempera in un tripudio di chitarre acustiche e tastiere degne del miglior progressive degli anni ’70. Su tutto ciò si staglia imperiosa la voce di Jennie-Ann Smith, protagonista assoluta in ogni singolo momento, che ci conduce per mano nel mondo popolato dai suoi fantasmi, assicurandosi però che riusciamo ad uscire indenni da questi incubi.
“Death, Where Is Your Sting”, pur essendo la prosecuzione naturale di quanto pubblicato dagli Avatarium in precedenza, colpisce per l’intensità e la profondità del messaggio, frutto di situazioni vissute sulla propria pelle; semplicemente, Jennie-Ann e soci questa volta avevano qualcosa di forte da dirci e l’hanno fatto con impeto ed ispirazione.