7.0
- Band: AVENGED SEVENFOLD
- Durata: 00:52:52
- Disponibile dal: /11/2007
- Etichetta:
- Warner Bros
Difficile recensire questo omonimo ritorno discografico degli Avenged Sevenfold, soprattutto dopo quello che, a parere di chi scrive, è il capitolo migliore della discografia della giovane formazione di OC, quel “City Of Evil” che rimane inarrivabile e sensazionale, e ancora resta un completo piacere per le orecchie. L’ultimo arrivato, se in maniera prematura potrebbe essere catalogabile solo come tentativo estrema commercializzazione, si contrappone, sin dalla copertina, al pur eccellente “Waking The Fallen”, apice dell’estremismo sonoro della band (dal lato della cattiveria). Questo ‘white album’ rinuncia, infatti, non solo ai growl (già abbandonati in “City Of Evil”), ma anche, inspiegabilmente, alla ultravelocità che piazzava i nostri a metà tra i Guns N’ Roses e gli Helloween (con la frangia). Una mossa degna dello sbandierato ego da rockstar di Shadows e compagni, che sembrano voler dire ‘vi possiamo menare con una mano sola’, forti del consenso di legioni di fan. In osservanza a questa filosofia il combo rinuncia anche al produttore, decidendo di fare tutto da sé, nella umile intimità del garage di casa Shadows. Iniziamo con lo specificare che gli Avenged fanno ancora metal, mettendosi in gioco su territori affini al Black Album dei Metallica (“Critical Acclaim”, “Almost Easy”), nel rock ‘n roll, e con irrinunciabili puntate nel thrash e nel power europeo. Tra gli arrangiamenti ultra elaborati e le finezze strumentali (insindacabili) che il gruppo ha archiviato a curriculum nel capitolo precedente è facile capire che i valori che vogliono essere sottolineati sono le linee vocali, mai così pulite ma sempre negli abili registri di M.Shadows – che riesce allo stesso tempo ad essere graffiante e ad andare molto in alto – e il groove, ricercato in maniera quasi disperata dopo il successo della cover di “Walk” (ascoltate “Scream”). I momenti migliori arrivano, come al solito, quando si lascia dare libero sfogo allo shredding della coppia Syn/Vengeance: “Unbound (The Wild Ride)” e soprattutto “Lost”, con quell’azzardato vocoder nel ritornello, sono le parti dove gli A7X riescono in maniera disinvolta ad essere magistralmente sopra le righe, aggiungendo naturalmente arpeggi di piano, cori operistici e un sapore gotico inusuale. Un grosso punto di domanda e una rimarcazione della eccentricità voluta a tutti i costi è senz’altro l’irreale “A Little Piece Of Heaven”, sorta di “Bohemian Rapsody” che sommerge la band con sax, clarinetto, tromba e trombone in una trama fiabesca che proprio non ci si può aspettare. Il risultato finale è esattamente nel mezzo tra il puro genio, vista la carne al fuoco, e il più arzigogolato caos musicale che abbiate mai sentito: gli Avenged Sevenfold perdono punti insomma, ma cadono comunque in piedi.