8.0
- Band: AVERNUS
- Durata: 01:01:56
- Disponibile dal: 20/092024
- Etichetta:
- M-Theory
Siete pronti per un giro di valzer nel culto? Forniscono tutto l’occorrente gli Avernus da Chicago: un percorso musicale lungo e travagliato che affonda le radici nei primi anni Novanta; un suono sincero, caldo e affascinante; un immaginario epico e drammatico.
Siamo all’interno del death-doom atmosferico, ma gli Avernus hanno una discreta personalità, e, pur non proponendo nulla di particolarmente originale o innovativo, risultano ampiamente riconoscibili; i riff, carismatici e orecchiabili, rimangono stampati in mente al primo ascolto, mentre le canzoni continuano a svelarsi a poco a poco nel corso dei successivi ascolti. Arduo trovare pari ariosità nel metal estremo, anche per merito delle tastiere, che donano colore e atmosfera senza mai risultare invadenti o preponderanti rispetto agli altri strumenti.
Una storia colma di peripezie si diceva, tra cambi di formazione e di direzione artistica, costellata di demo, singoli, EP, partecipazioni a compilation e con un solo album di inediti all’attivo, sfornato a fine anni Novanta; una vicenda che sarebbe dura riassumere in queste poche righe, che è meglio invece dedicare interamente al lavoro in questione, perché veramente notevole.
Con “Grievances”, infatti, gli statunitensi trovano la perfetta quadra, a trentadue anni dalla fondazione del gruppo; un album che finalmente rende giustizia alla loro incrollabile fede e dedizione. Potendo fregiarsi del titolo di pionieri del death-doom, le origini del loro suono risalgono agli albori del genere, ai primissimi lavori di Paradise Lost, Anathema e My Dying Bride, e, andando a ritroso, ai Candlemass, e, naturalmente, ai Black Sabbath.
Le influenze new wave e gothic rock, più marcate in passato, su questo “Grievances” traspaiono solo come lontane reminiscenze. Alle lente, epiche e solenni trame di chitarra, accompagnate da una semplice ma funzionale sezione ritmica, si aggiungono gli efficacissimi tappeti di tastiera, che donano un’atmosfera mistica e arcana all’opera.
Il cantato del leader Rick McCoy è un growl profondo e sommesso che calza a pennello; il tono declamatorio associato alle tastiere può ricordare qualcosa dei Bal Sagoth meno barocchi o degli ultimi Ancient Rites, ovviamente sempre a velocità ridotta: non sono presenti accelerazioni death metal, né, d’altro canto, le dinamiche dilatatissime tipiche del funeral doom.
L’album presenta cinque pezzi veri e propri, molto lunghi, dagli otto ai dieci minuti, tutti davvero belli, e altri cinque brevi strumentali, compreso l’intro, che aiutano a spezzare l’ora di durata dell’album; vale la pena citare “Nemesis”, una vera e propria ‘hit’ di epic doom estremo, della durata di nove e minuti e mezzo, che scorre via in un soffio, la struggente “Return To Dust” e l’ultima, trascinante, “Quietus”, ma tutto il disco non ha cali di sorta. Ciascuno dei pezzi lunghi prevede una consistente sezione strumentale, che non ne fa perdere il filo, anzi, li rende ancor più evocativi: l’equilibrio tra i vari strumenti, la maestria nella composizione, il suono, perfetto per lo stile proposto, sono tutte note di merito e non lasciano dubbi sulla qualità del disco; anche l’illustrazione di copertina e i testi concorrono alla sua riuscita – ogni cosa è insomma coerente, ben studiata e scrupolosamente eseguita.
A voler trovare un difetto, si potrebbe tirare in ballo una certa monoliticità di fondo della proposta, ma stiamo parlando pur sempre di death doom, e la capacità di non uscire dal seminato è un punto di forza di questi Avernus del 2024, che in precedenza avevano sofferto forse di un eccessivo eclettismo che li rendeva un po’ dispersivi e disordinati.
Allora meglio specificare che non è certo un disco per tutti i gusti; ma chi ama queste sonorità non può lasciarsi sfuggire l’opera definitiva a nome Avernus.
La passione non è mai mancata alla compagine dell’Illinois, e nemmeno il coraggio di ricercare un proprio suono senza appoggiarsi a un canone prestabilito, e ora che hanno trovato l’esperienza necessaria e la giusta calma nel ragionare sulla composizione e gli arrangiamenti, non c’è n’è più per nessuno.