7.0
- Band: AYR
- Durata: 00:37:39
- Disponibile dal: 24/07/2020
- Etichetta:
- Wolves Of Hades
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Primo full length per gli Ayr, blackster del North Carolina che nascono nel 2009 per chiudere i battenti nel 2011 dopo soli tre EP, infine riformatisi nel 2018. “The Dark”, titolo profetico che non delude le aspettative: il debut degli Ayr è davvero oscuro, opprimente; il genere di riferimento è l’atmospheric black metal di scuola americana, facilmente riconoscibile in alcune aperture paesaggistiche piuttosto pesanti e grigie, boschive, seppur non manchino pesanti riferimenti alla bella maniera europea, in particolare a quella orientale, con qualche piccolo (ma tuttavia innocente) prestito in alcuni frangenti.
Gli Ayr giocano moltissimo sulla creazione di atmosfere, ne siano un esempio la bella intro di sola chitarra acustica, i molti arpeggi di cui sono infarcite le canzoni e dei brani propriamente ambient (questi non così peculiari), dando così all’album una dinamica notevole, grazie anche alle sferzate furenti di pezzi pregni di brada violenza black metal; parliamo in particolare dei momenti più articolati e lunghi, come “Where All Light Dies” o la chiusura ad opera di “Severe The Golden Chain”, davvero interessanti, dove il dosaggio tra violenza e atmosfera funziona a meraviglia. Un po’ di meno, a nostro parere, i brani puramente ambient, dove è pur vero che le asettiche tastiere riescono si a disegnare le oscurità pianificate, ma che dopo un po’ di ascolti tenderemmo a skippare per approdare direttamente ai brani metal. Non è del tutto un male, visto che gli ascolti sono anche figli della situazione, e che, se di atmosfera dobbiamo parlare, anche questi svolgono bene il loro lavoro, ma non siamo di fronte a chissà quale costruzione epocale, parlando di canzoni come “Worship The Dark” o “Return To The Void”.
A parte questi momenti un po’ ingenui (così come alcuni effetti tipo gli ululati in sottofondo…), dove il gruppo fa la differenza è proprio nel black vero e proprio, basti sentire la già citata closing track, che riesce a recuperare l’aria un po’ sciupata che si era creata con “Return To The Void”, esaltandoci con un ingresso a gamba tesa e un’incedere tra rallentamenti groovy e ripartenze figlie di chitarre al vetriolo.
Uno strano matrimonio tra due diverse sfaccettature, alla fine, laddove una sembra messa più che altro per allungare il minutaggio di un comunque intenso album black metal, che con un po’ di malizia in più avrebbe potuto suonare come una gemma nera. Speriamo in una maggiore accortezza in futuro.