7.5
- Band: AYYUR
- Durata: 00:38:52
- Disponibile dal: 07/04/2023
- Etichetta:
- Armée De La Mort Records
- Xenoglossy Productions
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Attivi dal 2007, giungono finalmente al primo full-length gli Ayyur, black metal band tunisina che tuttavia ci aveva messo sull’attenti con le molte pubblicazioni sottoforma di EP pubblicate nel corso degli anni, una delle quali era stata oggetto di attenzioni anche sulle nostre pagine (“Balkarnin”, del 2020).
La cosa interessante degli Ayyur è la marziale freddezza con cui il duo elabora il proprio black metal, in netto contrasto con l’immagine del gruppo ‘esotico’ che orpella la propria musica con soluzioni a tutti i costi folkloristiche e riconducibili alla propria inusuale provenienza. E se è vero che una mandola algerina è lo strumento che chiude il disco (con la stupenda e struggente brevità di “Xellu”), anche sulla medio-lunga durata (circa quaranta minuti per dieci brani) gli Ayyur non cedono a scorciatoie.
Resta comunque innegabile come un certo calore trasudi dalle taglienti note che compongono “Prevail”: una passionalità inusitata, che gronda come sangue dalle coordinate black metal di brani come “The High Throne” o nel mistico incedere di “Seek”, che fa da contralto a una ferocia introspettiva e ipnotica, e non per niente ci torna alla mente l’approccio dell’innominabile Conte norvegese (sentite “A Chant For The Deafs” per farvi un’idea).
“Prevail” è ambient in un senso molto melodico e – a parte una sezione centrale basata su effetti – l’atmosfera che si crea ricorda molto di più quello che facevano gli Ulver del primo e terzo disco che non solo i molti progetti di black metal atmosferico a cui ci siamo più abituati nel recente passato. Tra rallentamenti quasi doom e un’aura intimista capaci di legarsi in un concept anche piuttosto ‘basico’, portando la produzione ai limiti del noise in alcuni punti (resta un disco prettamente lo-fi), ci risulta difficile non restare imprigionati dalle trame ancestrali intessute da Angra Mainyu (voce, chitarra e basso del progetto), accattivanti nella loro essenziale semplicità, e sorrette dalla batteria di Shaxul (già voce nei Deathspell Omega tra fine anni ‘90 e inizio 2000), per trovarci di fatto con un album black metal cui è difficile resistere già dopo pochi ascolti, e che in una dinamica felice tra parti lente e quelle più efferate (la già citata “A Chant For The Deafs” o “Putrid Progeny” o ancora la più ‘epica’ “Drought” ne sono un esempio), riesce a non stancare e a farsi rimettere più volte sul piatto del nostro lettore.