AZUSA – Heavy Yoke

Pubblicato il 11/12/2018 da
voto
7.0
  • Band: AZUSA
  • Durata: 00:34:09
  • Disponibile dal: 16/11/2018
  • Etichetta:
  • Indie Recordings
  • Distributore: Audioglobe

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Prendi chitarra e batteria di una delle più originali formazioni progressive death metal di fine Nineties/anni 2000, nel caso specifico Christer Espevoll e David Husvik degli Extol; aggiungici il bassista della band che meglio ha sdoganato il concetto di schizofrenia orecchiabile (Liam Wilson dei The Dilllinger Escape Plan); metti alla loro guida una singer di estrazione rock intimista (Eleni Zafiriadou degli Sea + Air), facendole tirare fuori le sue istintive pulsioni hardcore/extreme metal. Ed ecco che saltano fuori gli Azusa. Parlare strettamente di novità non ha senso, visto che collaborazioni di questo tipo, all’apparenza stravaganti, non sono da tempo così rare. Come sarebbe ingenuo stupirsi che gli accostamenti fra accenti melliflui, scatti d’ira, torsioni psicotiche, impeti di metal vecchia scuola possano funzionare e addensarsi in uno stile coerente, che non punti esclusivamente sull’effetto sorpresa ma possa reggere alla distanza. “Heavy Yoke”, sorpassata una prima fase di stordimento e prevenzione dovuta a sovrastrutturazione, convulsi cambi di registro, stacchi math-core e l’alternanza ansiogena di soavità e acida rabbia, dichiara apertamente il talento dei musicisti coinvolti. Pur senza giungere alla definizione di un capolavoro di genere. Al centro del discorso, com’è giusto che sia quando ci si serve di una vocalità elastica e che non perde di sicurezza passando dall’estrema morbidezza all’odio più ferale, c’è la voce della Zafiriadou. Quando chiamata a esprimersi su registri urlati, rivaleggia con voci altrettanto battagliere come quelle di Karyn Crisis, Julie Christmas, Eva Spence, cantanti chiamate in causa, d’altronde, sul versante opposto, quando la voce si schiarisce in cantilene deliziose, in questo accostandosi pure agli arcinoti gorgheggi di una Chelsea Wolfe o Myrkur.
L’andamento variopinto e spigoloso dei brani fa venire in mente sonorità post-core figlie dell’underground inglese, Rolo Tomassi su tutti e qualcosa degli Svalbard, e si sente l’influsso dell’ex band di Wilson. Tuttavia, l’approccio alla materia, ed è chiaro a maggior ragione per le scelte di suono, fa riferimento a un contesto affine al metal estremo senz’altri suffissi. Ed entra qui l’influenza Extol, con passaggi secchi e martellanti, chitarre che rivisitano gli stilemi di un techno-death striato di thrash e sinistri giri armonici che, curiosamente, si coniugano con naturalezza ai momenti onirici della Zafiriadou. La band ha a cuore l’ascolto ‘di pancia’ e non rinuncia a strappi da puro headbanging, puntualmente stoppati per far volteggiare dionisiache arie conturbanti, talvolta poste in sovrapposizione a incursioni thrashcore energiche e ben poco intellettuali. Nonostante la cura per le melodie vocali e un songwriting che non scivola mai nel caos o nella pretenziosità, un pizzico di incompiutezza e la sensazione di apprezzare tante piccole istantanee di suono, invece che un’opera curata nei dettagli dall’inizio alla fine, permane. Dopo numerosi ascolti, si percepisce l’assenza di canzoni di forte personalità, per quanto il disco nella sua interezza si riveli esperienza intrigante e foriera di spunti notevoli. Tracce come “Heart Of Stone” rimangono comunque begli esempi di metal sperimentale che, nel suo tentativo di guardare avanti, non perde il contatto con le sue radici.

TRACKLIST

  1. Interstellar Islands
  2. Heart Of Stone
  3. Heavy Yoke
  4. Fine Lines
  5. Lost In The Ether
  6. Spellbinder
  7. Programmed To Distress
  8. Eternal Echo
  9. Iniquitous Spiritual Praxis
  10. Succumb To Sorrow
  11. Distant call
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