6.0
- Band: BABYMETAL
- Durata: 00:44:10
- Disponibile dal: 24/03/2023
- Etichetta:
- Cooking Vinyl
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Prima sono stati gli anni a passare inesorabili, rendendo il ‘baby’ in Babymetal totalmente superfluo, anacronistico e a tratti imbarazzante per delle ventenni. Successivamente, si è rotto qualcosa anche nel trio di performer, che, sotto l’ala del producer e mastermind Key Kobayashi, si esibiva nella kawaii metal band divenuta fenomeno internazionale: Yui Mizuno (Yuimetal) ha lasciato il gruppo, non è chiaro se per problemi di salute o per una carriera solista che al momento non si è concretizzata, lasciando recentemente spazio a Momometal. La sostituzione non dovrebbe nemmeno essere un problema, in quanto pratica nella norma per un gruppo di ‘idol’ giapponesi, ma nell’arco di un decennio il progetto ha preso i connotati di un gruppo tradizionale e per questo la trasformazione in atto in “The Other One” mette ancor più in crisi i punti cardine che hanno reso il brand un’idea di rottura e di successo. Presentato come un passo di ‘rigenerazione’, purtroppo il quarto disco in studio delle Babymetal non solo va di fatto a smorzare la ‘gimmick’ delle ragazzine, ma va inoltre colpevolmente e consapevolmente a perdere l’aura di pazzia e divertimento che ha contraddistinto i primi lavori.
Mascherato dall’ennesimo concept sul multiverso, “The Other One” dovrebbe esplorare diverse realtà alternative mostrando molteplici iterazioni della band all’interno di questi mondi diversi, fallendo di fatto miseramente e proponendoci la versione più canonica mai ascoltata delle Babymetal, tra il rock gotico, anthemico e bombastico dei Within Temptation, l’immancabile J-Pop e sporadici spunti alternativi. La parte più heavy del progetto è rappresentata dalle composizioni di Megmetal, che svetta tra la quindicina di autori per numero di tracce e firma i brani più interessanti per i metallari, come l’aggressiva “Divine Attack (Shingeki)”, un brano frizzante, prog e fantasioso come “Mirror Mirror”, una “MAYA” che velocizza i Korn nella maniera di Poppy e il finale melodico di “THE LEGEND”. Le rimanenti tracce, sempre incredibilmente curate e prodotte con maestria, largamente modellate sul pop dalla sensibilità giapponese, hanno una facciata metal parecchio ridotta: “Believing” ricorda una variante delle t.A.T.u., “METALIZM” potrebbe stare su un disco di Rosalía, “Time Wave” gioca nello stesso campo degli Enter Shikari, mentre il grande singolo “Monochrome”, costruito per gli stadi, spicca più che altro per i brillanti ganci pop.
La follia dei Maximum The Hormone, l’energia caotica, la dance, il lato kawaii sono soppiantati da una linea continua di serietà ed atmosfera, tentando di evolvere e maturare un brand che, canonizzato e reso omogeneo, perde gran parte della sua identità e risulta davvero poco interessante, tristemente mai controcorrente. Ovviamente questo ‘siluro’ non andrà ad abbattere quel colosso che è diventato il progetto giapponese in un decennio, forse non ne cambierà nemmeno la traiettoria, ma musicalmente parlando è evidente come il meglio sia ormai nel passato.