7.5
- Band: BACCHUS (FR)
- Durata: 00:34:49
- Disponibile dal: 07/04/2023
- Etichetta:
- Debemur Morti
Spotify:
Apple Music:
“La musica di Bacchus trae ispirazione dagli stati alterati indotti dall’uso di sostanze e dall’inebriante creatività che da essi ne deriva”.
Aspetta, dove avevamo già sentito qualcosa di simile? Ah sì, erano gli Urfaust. Ecco, con una tale premessa il terrore di trovarsi di fronte a un qualcosa di fallimentare era tendenzialmente alto. Dopotutto provare a rifare ciò che il duo olandese ci propina regolarmente da vent’anni è qualcosa di terribilmente rischioso, se non altro per il fatto che capirci qualcosa è tuttora un’impresa. Psichedelia? Doom? Black metal? Tutto e il contrario di tutto.
I Bacchus però sembrano aver compreso la lezione, e pure bene – almeno sentendo cosa hanno tirato fuori nel loro debutto sulla lunga distanza.
Questo “II” è quanto di più vicino ai deliri degli Urfaust uno possa immaginare e, come se la cosa non bastasse, non si limita soltando alla mera riproposizione, aggiungendo ulteriori elementi alla formula allucinata. Partendo dalla base di un metal lisergico ed ebbro, appunto, i francesi creano un caleidoscopico mix in cui si viene sballottati continuamente verso scorci black metal che paiono usciti dai Mayhem: ad esempio la seconda, meravigliosa traccia “II II” infetta la propria lisergica tristezza con un riffing e delle voci che paiono usciti da “De Mysteriis Dom Sathanas” e lo fa con una facilità encomiabile attraverso continui e fluidissimi cambi di mood. In alcuni momenti, come “II IV”, vedono i Bacchus scomodare addirittura i primi Katatonia e le loro chitarre circolari e depressive, mescolandoli poi alle voglie sinfoniche dei migliori Dimmu Borgir nella successiva “II V”. Il tutto senza mai risultare però derivativi e contestualizzando sempre le proprie influenze.
Nonostante una pericolosa monoliticitá di base, il gruppo non dà mai l’impressione di ripetersi, merito questo di un’ottima gestione delle dinamiche che mantiene alta la soglia di interesse per tutta la mezz’ora abbondante di durata.
La voce è quasi sempre affidata a destabilizzanti vocalizzi in cui il testo risulta indecifrabile; le canzoni stesse non presentano titoli, ma solo numeri: l’atmosfera generale che permea tutto il disco è la perfetta descrizione di uno stato mentale costantemente sull’orlo del collasso, cullato allo stesso tempo da qualcosa di confortevole in un limbo in cui il tempo pare fermarsi.
Bukowski disse una volta, “Perché bevo? Perché non riesco ad affrontare la vita quando sono sobrio”. Pericoloso, ma assuefacente allo stesso tempo, esattamente come quello che esce dai solchi di questo lavoro.