7.5
- Band: BALMOG
- Durata: 00:39:26
- Disponibile dal: 23/05/2025
- Etichetta:
- War Anthem Records
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Con “Laio”, i Balmog riaffermano il proprio ruolo di instancabili alchimisti del dark metal europeo, continuando a percorrere quella traiettoria sperimentale che da anni li allontana da una pura ortodossia black metal per spingerli verso territori più eterogenei, contaminati e, spesso, affascinanti.
Da qualche tempo, il gruppo galiziano non ha paura di uscire dai binari, come dimostrato da due EP visionari e coraggiosi come “Pillars of Salt” e “Covenants of Salt”, ma è con questo nuovo album che sembra davvero mettere a frutto tutto quanto sperimentato finora, estendendolo a un formato più ampio senza perdere coerenza né intensità.
Se il precedente full-length “Eve” flirtava con certe soluzioni più dirette, quasi rockeggianti, che a tratti rimandavano un po’ troppo ai Tribulation dell’ultimo periodo, “Laio” pare voler prendere le distanze da quella dimensione ‘rassicurante’, optando invece per una proposta più stratificata e imprevedibile. Le melodie sono sempre presenti, a tratti persino eleganti nella loro malinconia, ma vengono incastonate in strutture più fluide e meno vincolate alla tipica forma canzone. Per questa ragione, il disco si presenta come un lavoro che esige attenzione e che sa ripagare con atmosfere poco scontate, dove la tensione emotiva viene alimentata da una scrittura intelligente e sfaccettata.
I Balmog questa volta mantengono saldo un certo spirito black metal nella ruvidezza del suono e nel piglio esecutivo, ma accanto a queste rinnovate fondamenta troviamo il puntuale, ricco, ventaglio di influenze: dai toni oscuri e dilatati dei Fields of the Nephilim alle pulsioni più virili di Danzig, passando per arie che si avvicinano a una liquidità post-punk in stile Killing Joke.
La band si diverte a mescolare suggestioni e linguaggi, costruendo brani che in questa circostanza non cercano la cosiddetta hit a effetto, puntando invece a evocare atmosfere, stati d’animo, visioni notturne. In questo senso, “Laio” si presenta come un’opera più coesa di quanto la sua varietà potrebbe far pensare: ogni brano trova il proprio posto all’interno di un mosaico sonoro che riesce a tenere insieme groove, melodia e un certo gusto per l’avventura compositiva.
Detto ciò, va anche sottolineato come non tutti i pezzi riescano ad esaltare con la stessa efficacia: episodi come “Tongue in Pieces” o “Like God Who Knows” spiccano presto per immediatezza, profondità emotiva e brillantezza nelle soluzioni, mentre un paio di altri momenti risultano meno incisivi, più sfumati e forse meno memorabili. Tuttavia, questa lieve instabilità di fondo sembra quasi parte integrante del carattere istrionico della band: i Balmog non hanno mai cercato la perfezione levigata, ma piuttosto un equilibrio dinamico e instabile, sempre in movimento, sempre alla ricerca di qualcosa che sfugga alle etichette. C’è, nel disco, un senso di libertà creativa palpabile, che non scade mai nell’autocompiacimento, ma che, anzi, sembra nascere da una piena consapevolezza dei propri mezzi.
Quel che è certo, ormai, è che i Balmog del 2025 sono una creatura matura, capace di piegare alcune convenzioni di genere alle proprie esigenze espressive senza rinnegarne del tutto l’identità. E così, mentre le chitarre si increspano tra delay e riverberi liquidi e la sezione ritmica alterna ossessività e dinamismo, l’ascoltatore viene guidato in un’esperienza capace di intrattenere e sorprendere, di colpire subito ma anche di rivelare nuovi strati a ogni fruizione.
Un tassello importante nella discografia di una formazione che continua a reinventarsi senza perdere la bussola, affermandosi ancora una volta come una delle realtà più intriganti dell’underground spagnolo e non.