7.0
- Band: BAND OF SPICE
- Durata: 00:43:16
- Disponibile dal: 26/03/2021
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
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Christian Sjöstrand non è di certo un personaggio che ha bisogno di lunghe introduzioni: conosciuto come Spice, il cantante svedese sparge il verbo dell’hard rock più sanguigno fin dalla prima metà degli anni ’90, incarnandosi in progetti diversi, dagli storici Spiritual Beggars alla sua creazione Spice And The RJ Band, il cui nome è stato semplificato, ormai dal 2010, in Band Of Spice e giunto, con questo “By The Corner Of Tomorrow”, al quarto album in studio. Se, dopo una così lunga e gloriosa carriera, ancora ci fosse qualche dubbio su quali siano le referenze del trio, a chiarire la questione in modo inequivocabile sono le parole dello stesso Spice, il quale afferma di aver usato come riferimento per il suono di questo album “Heaven And Hell” dei Black Sabbath e “Blizzard Of Ozz” di Ozzy Osbourne. Tra l’altro, lo stesso artista ha affermato che questo è la prima opera che ha registrato in accordatura standard, quasi a voler rafforzare l’idea di una certa continuità tra quanto composto e la tradizione e, in effetti, tutto il disco è una sorta di viaggio nell’hard rock e nell’heavy metal degli anni ’70 e ’80, senza pretese di originalità ma con la voglia di scapocciare come se non ci fosse un domani, su una musica carica di vibrazioni e feeling. Si ascolti il terremotante riff e l’entrata vocale dell’iniziale “The Fading Spot”: è impossibile non pensare al miglior Dio e ad una cavalcata metallica nel suo stile roboante. Con “The Sharp Edge” ci muoviamo invece in territori leggermente diversi, laddove gli Iron Maiden e lo stoner dei Kyuss sembrano incontrarsi: ritmi almeno a tratti più lenti e ragionati, voce squillante alla Garcia e, nella seconda parte, chitarre chiare e pulite che intessono la melodia portante. Come in ogni disco classico che si rispetti, non può mancare la ballata, e qua ne abbiamo addirittura due: la titletrack “By The Corner Of Tomorrow” possiede una tensione acustica che la avvicina ad alcune cose di Zakk Wylde; la conclusiva “Rewind The Wind” è ancor più settantiana, con suoni liquidi e tenui che la rendono una specie di “Planet Caravan” riveduta ed aggiornata. Tutto molto derivativo, ma sicuramente sorretto da un buon songwriting e piacevole per gli appassionati dei suoni vicini all’heavy metal più classico.