5.0
- Band: BAND OF SPICE
- Durata: 00:52:43
- Disponibile dal: 27/10/2017
- Etichetta:
- Scarlet Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Chi scrive non si capacita proprio del fatto che la Band Of Spice abbia pubblicato un nuovo album che, in sostanza, sembra contenere una raccolta di modeste b-side o, peggio ancora, di scarti riciclati dalle precedenti sessioni di registrazione dell’ottimo “Economic Dancers”. In quell’occasione, i protagonisti si sono meritatamente guadagnati un posto di rilievo nelle zone calde delle nostre classifiche, per via di una serie di episodi tirati a lucido da un songwriting curato ed avvincente. A sorpresa, invece, “Shadows Remains” scivola pericolosamente in zona retrocessione, in quanto traspare una malcelata volontà del collettivo originario di Småland, Svezia, di adagiarsi pigramente sui preziosi allori conquistati da realtà ben più quotate ed influenti a livello internazionale. Nessuno con un briciolo di buon senso ha la pretesa assurda di voler stravolgere le regole non scritte di una corrente artistica che presenta margini di innovazione pressoché nulli; ma riteniamo sia inaccettabile udire da un gruppo con una notevole esperienza alle spalle (il frontman Spice ha prestato le sue corde vocali nel meraviglioso “Ad Astra” degli Spiritual Beggars), un quantitativo industriale di soluzioni così poco mordaci ed incisive. A tal proposito, il riffing portante di “Give Me A Hint” ricorda sin troppo quello della scatenata “Wild Flower” dei The Cult, mentre l’irriverente aggressività di “The Pet” chiama in causa, con pedante eccesso di zelo, gli irraggiungibili Kyuss del mastodontico “Blues For The Red Sun”. La personalità del power trio scandinavo latita in maniera del tutto ingiustificata anche all’altezza della pachidermica “The Saviour And The Clown”, palesandosi anch’essa come una pallida imitazione di quanto ideato da Josh Homme e soci. Anche i momenti più introspettivi, vergati dal breve prologo “Only One Drink” e dalla soporifera “Apartment 8 (Part II)”, deludono le nostre attese, palesando sin dai primi istanti un palpabile senso di vuoto artistico, dai quali gli autori riemergono di tanto in tanto con la necessaria dose di grinta (“Coherent Train Of Thoughts”, “Don’t Bring Me Flowers”, “Sheaf”), senza però essere più capaci di stupirci con effetti speciali.