8.0
- Band: BAPHOMET
- Durata: 00:38:31
- Disponibile dal: 05/05/1992
- Etichetta:
- Peaceville
- Distributore: Audioglobe
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Sarebbe sbagliato definire i Baphomet come il prodotto di una somma avente come addendi primi Cannibal Corpse e Malevolent Creation? Assolutamente no. E – alla luce di una personalità evidentemente poco spiccata e brillante – decidere di accantonarne senza troppe riflessioni l’operato? Quello sì, eccome. Perchè se è innegabile che la formazione di Buffalo, New York, non è mai riuscita ad affrancarsi dalla schiera dei cosiddetti gregari della scena US death metal di inizio anni Novanta, è altrettanto vero che in quel periodo, all’ombra dei suddetti colossi, è comunque riuscita a confezionare un paio di opere più che valide e meritevoli di essere riscoperte, con il qui presente “The Dead Shall Inherit” a rappresentarne l’apice della breve ma intensa parabola artistica.
Un disco licenziato da una Peaceville fresca reduce dai primi riscontri commerciali di My Dying Bride e Paradise Lost e che rientra appieno nel filone di quel metallo della morte ‘working class’ di gente come Morta Skuld, Morpheus Descends e Cianide, in cui l’evidente mancanza di genio (d’altronde, non tutti possono essere Chuck Schuldiner o Trey Azagthoth) è sopperita dal giusto mix di attributi, doti tecniche e ‘fame’ tipica di chi è solito sgomitare nel vero underground. Un suono rozzo e percussivo, sempre e solo interessato alla sostanza del riffing, che si addentra nei tuguri di “Butchered at Birth” serbando ancora il ricordo del proprio retaggio thrash e death/thrash, flettendo in continuazione i muscoli senza però mai scadere in una proposta da encefalogramma (totalmente) piatto. Intendiamoci, i Baphomet erano (sono?) dei trogloditi, musicisti che avremmo visto bene a stringere delle clave anziché degli strumenti, ma in queste dieci tracce il loro temperamento barbaro riuscì brillantemente ad essere incanalato in strutture fluide e vivaci, a conti fatti più curate rispetto a quelle sfoggiate nello stesso periodo da Chris Barnes e compagni. Una gamma di soluzioni ristrette ma vincenti, puntualmente in grado di farsi ricordare per la loro esuberanza di fondo, è quindi la chiave del successo di questa seconda fatica sulla lunga distanza, la quale sembra intenzionata a macellare l’ascoltatore dopo averlo immerso in un’appropriata atmosfera mortifera.
Un mix di uptempo voraci e parentesi caracollanti che, dall’ottima opener “The Suffering” in poi, avanza senza mollare di un centimetro, non lambendo mai vette di pura eccellenza ma – come detto poc’anzi – inanellando una serie di passaggi ora semplicemente efficaci, ora addirittura esaltanti nel loro annegare la razionalità e gli abbellimenti stilistici nel sangue. Per coloro che nel death metal vedono innanzitutto un’espressione di potenza e istinti primitivi, “The Dead…” dovrebbe essere una tappa semi-obbligata, prima o poi.