7.0
- Band: BARISHI
- Durata: 00:43:41
- Disponibile dal: 16/09/2016
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Gli americani Barishi, con il loro secondo album “Blood From The Lion’s Mouth” sono una delle dimostrazioni che è ancora possibile fare buona musica, senza inventare nulla di realmente nuovo. Già perché i quattro del Vermont riescono proprio dove tanti, tantissimi, falliscono miseramente: ovvero nel dare alla loro musica quell’intensità necessaria che li rende simili ma non uguali a tanti che suonano tutto sommato cose abbastanza simili. Le influenze artistiche sono varie, ma ben equilibrate tra di loro e si potrebbe annoverarli in quel novero di band progressive sludge, progressive post metal oppure più semplicemente progressive e basta. “Blood From The Lion’s Mouth” non lo si vedrebbe male nello stesso scaffale di gruppi come Baroness, Intronaut, oppure i Mastodon (specie dell’era “Crack The Skye”), oppure degli ultimi Opeth. Diciamo che i Barishi sono bravi nel cavalcare l’onda dell’entusiasmo di questo momento storico, in cui sempre più gruppi vanno a riportare in auge le sonorità progressive degli anni Settanta. Non a caso i Nostri escono sotto l’egida di un’etichetta attenta, importante e allo stesso tempo al passo con i tempi, come la Season Of Mist. Formalmente questo album non ha vizi di forma grossolani e gli amanti delle sonorità sopra descritte non devono far altro che prendere carta e penna e annotarsi questo nome perché, se i ragazzi riusciranno a continuare a comporre materiale di questa caratura, ben presto potrebbero diventare uno di quei gruppi sulla bocca di molti. Il principale punto di forza è l’intensità del loro sound, molto vivido ed evocativo, trascinati da un vocalist indubbiamente dotato di un’espressività non comune (senza l’ausilio di clean vocals) grazie a questo scream perforante. L’unica critica che ci sentiamo di muovere, e che ci fa propendere verso una valutazione buona ma non eccelsa, è nella qualità del songwriting, non sempre costante e talvolta dispersivo, specie in queste digressioni settantiane, con lunghi e acquosi arpeggi e suite strumentali che poco aggiungono e, anzi, talvolta fanno perdere intensità ai brani, rendendoli alla resa dei conti superfluamente lunghi. Detto questo, la qualità del materiale è molto buona e certamente l’ascolto e la scoperta del gruppo sono consigliatissimi.