8.0
- Band: BARONESS
- Durata: 01:00:29
- Disponibile dal: 14/06/2019
- Etichetta:
- Abraxan Hymns
- Distributore: Universal
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Entrare di forza come post-metaller e poi oscillare in un nuovo territorio heavy metal più aperto e contemporaneo, abbracciando sonorità più adatte ad un pubblico che non è solo quello della nicchia sludge deve essere costato un bell’astio ai Baroness. Almeno da parte dei fan che si ricordano dei Baroness del disco rosso e di quello blu. Quelli che hanno definitivamente storto il naso con “Yellow & Green” e che hanno definitivamente tagliato i ponti con la band di Savannah con “Purple”. Quelli, ancora, che, quando si inizia ad essere ascoltati da un più vasto pubblico allora si perde l’identità con cui si è nati. E da lì non si torna più indietro.
Sembra un discorso più che consueto, almeno per quello che riguarda le nostre pagine. Ma davvero “Gold & Grey” (inizialmente “Orange”) nasce da questo territorio, dagli spettri dell’incidente in bus di qualche anno fa, dall’innesto di Gina Gleason (al posto di Peter Adams), dallo spostamento da Savannah a Philly, dal fatto che la band di Baizley abbia deciso di procedere per la sua strada, trovare il suo sound, riconoscersi in un campo musicale che passa sì da quella porta che era stata lo sludge, ma che vuole procedere oltre. Non in senso meramente commerciale e neanche in un compartimento stagno prestabilito. Non è infatti questo che viene rappresentato dalle trame complesse di questo quinto album, fatto più di intuito che di cervello, fatto più di cuore che di produzione, sicuramente sentito più che costruito. Diciassette tracce che spaziano da sonorità legate indissolubilmente all’heavy metal, al progressive, ma che – oggi più che mai – vogliono provare ad osare, a procedere oltre, ad offrire musica sentita per davvero e non un prodotto di genere. Offrire una visione artistica, dunque. Ed è con questa ottica che probabilmente bisogna guardare all’affermazione di Baizley: “Sono sicuro che abbiamo realizzato il nostro album migliore e più avventuroso di sempre, abbiamo scavato incredibilmente in profondità, sfidato noi stessi e registrato un disco che non potremmo mai più replicare. Mi considero incredibilmente fortunato a conoscere Sebastian, Nick e Gina sia come miei compagni di band che come amici. Mi hanno spinto a diventare un migliore cantautore, musicista e cantante“. L’album si nutre di questa alchimia da jam session e si offre come manifestazione di questa. Sarebbe anche probabilmente inopportuno dire che la qualità delle canzoni qui offerte sia la migliore offerta dai Baroness nella loro carriera, perché così non è di certo, ma il sound di “Gold & Grey” si presenta come il più significativo che una band del genere possa offrire al mercato musicale di oggi.
L’intrusione del rock da camera, nei brevi momenti di “Sevens”, “Assault On East Falls” e di “Anchor’s Lament”, si integra perfettamente con la passione heavy di “Throw Me An Anchor”, “Pale Sun” e le parole della struggente “I’ll Do Anything” (It was moments ago / Knew exactly what to say / Spill it on the ground / The words forever gold and grey“) e il tutto si mesce in questa produzione che non strizza di certo l’occhio alla modernità, ma che sembra rientrare in quel concetto di musica underground che ha sempre contraddistinto un certo fascino per i metalhead. Siamo lontani dal tocco iper prodotto che lo stesso curatore David Fridman ha fatto coi Flaming Lips o coi Tame Impala o con altri alternative newcomer degli ultimi anni. I suoni sembrano tutti segregati nello stesso spazio sonoro, lasciando pochissime aperture di pannaggio, mantenendo una sensazione di pre-produzione e incompletezza che, però, al posto di donare incoerenza all’intero lavoro, ne offre una quasi magica sincerità. Sentire le tonalità neo-folk americane di “Radiating Light”, provenienti dalle oscurità di qualche angolo di bus, o “Cold-Blooded Angel” e tutta quella parte del disco, quando il tutto s’acquieta in un malinconico trascico di alt-rock contaminato è qualcosa che manca, oggi, a gran parte della discografia di band come queste. I singoli, in album come questo, non sono assolutamente significativi per identificare la portata del lavoro, eppure hanno in sé le rappresentazioni di questa volontà di onesta attitudine rock che sembra aver abbandonato la maggior parte delle band di oggi. “Borderlines” ha dei fuzz che farebbero storcere l’orecchio a qualunque sound engineer, eppure possiede una sorta di spirito da sala prove che, in casi come questo, rende lode al suonare e non al produrre roba. Lontani dai Mastodon, dai Kylesa, dai Metallica (altro grande paragone che ha sempre aleggiato), lontani da quello che avrebbe potuto essere se Allen Blickle e Matt Maggioni avessero continuato a suonare nei Baroness, lontani dal voler convincere il grande pubblico a seguirli come heavy metal act del nuovo millennio e terribilmente lontani dal radio-friendly da classifica. “Gold & Grey” non è un album perfetto, ma fa di tutte le sue imperfezioni la sua intrinseca bellezza e verità.