7.5
- Band: BARONESS
- Durata: 42:37
- Disponibile dal: 18/12/2015
- Etichetta:
- Abraxan Hymns
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Il nome Baroness è ormai assurto a uno dei paradigmi della controversia in ambito metal. Chiacchierati dai fan più oltranzisti che li ricordano ancora come band sludge e approdati ad un territorio di ormai ben più ampia gamma grazie alla loro svolta – sempre più aperta – verso territori più alt-rock accessibili e orientati verso una più facile assimilazione. “Yellow & Green” aveva scavato un profondo solco tra questi due pubblici dei Baroness e, se il gruppo di Savannah era stato flagellato pesantemente per la virata di stile da coloro che ne avevano apprezzato il passato più grezzo ma ampiamente promettente, era anche vero che nei due dischi c’era stato dell’ottimo materiale, ben arrangiato, suonato e ben impiantato per un nuovo tipo di situazione che abbandonava quasi del tutto quelle intenzioni che ne avevano contraddistinto il suddetto passato. Penzolante tra l’eterno giudizio di colpa e di nuovo appeal, il nome Baroness torna a calcare di nuovo i territori discografici con la nuova fatica “Purple”, sempre presentata dall’abile mano illustratrice del frontman John Baizley. E le cose non sono cambiate per nulla: il processo di ammorbidimento della proposta e le intenzioni di arrivare ad un pubblico sempre più ampio sono le medesime di quelle che avevano allontanato i vecchi fan. In “Purple” addirittura sono ancora più concentrate e addensate in compartimenti di tracce che valgono per se stesse come singoli a se stanti e non diluite in doppio disco (a parte un paio di episodi come “Fugue” e “Crossroads To Infinity”). Il romanticismo dei georgiani si è addirittura acuito per il ritorno alla musica dopo il terribile incidente che li aveva trovati coinvolti nel 2012 e anche sul piano lirico si spinge su un modus tutto americano di intendere la ripresa dalle brutte situazioni. Il bassista Matt Maggioni e il batterista Allen Bickle si sono congedati dalla band dopo l’incidente e sono stati sostituiti da Nick Jost e Sebastian Thompson, sicuramente musicisti di timbro diverso e molto determinanti in questo nuovo lavoro. “Purple” è anche il primo disco ad uscire per la loro etichetta, la Abraxan Hymns Records, ed è prodotto dal noto Dave Fridmann, tra i cui noti lavori figurano i famigerati Flaming Lips. Perché, dunque, uno che ha amato il mitico “Blue Record” o il primo tassello rosso o addirittura le prime produzioni sludge dei Baroness (“First” e “Second”), che aveva mosso pesanti critiche a “Yellow & Green” e all’impatto mainstream che il nome dei georgiani ha ottenuto in ambito hard rock, dovrebbe apprezzare “Purple”? Probabilmente non dovrebbe, infatti. Ne stia lontano. “Purple” è il disco che vuole suggellare il sound Baroness definitivo di questi anni e amplificarne la portata. Molti dei brani sono infatti preparati con una forma verso-ritornello assolutamente prevedibile e senza orpelli eccessivamente straordinari (“Morningstar”, “Shock Me”, “Try To Disappear”, “Kerosene”, la scialba “The Iron Bell”). Poco si potrà però dire sulla loro resa effettiva in queste prospettive e con questi intenti di fondo. La voce di Baizley riesce a compensare il suo registro monotonico con una ritrovata potenza e passione appariscente, risultando ben oltre le aspettative di coloro che l’avevano criticata, una volta abbandonate le parti più roche e rabbiose. E anche se in molti potrebbero ricevere un’orticaria nel sentire soluzioni liriche semplicistiche come “Shock me/ I needed a surprise” (mischiate in una cornice battagliera, metafora del post-incidente) in un disco come questo, altrettanto poco si potrà dire su un singolo ampiamente riuscito come “Shock Me”. La prima “Morningstar” farebbe esultare di gioia gli ultimi Metallica, e in effetti si capisce benissimo come il buon Hetfield abbia deciso di nominare “Purple” come uno dei momenti salienti di questo 2015, e dello stesso parere sono quasi tutte le prime critiche mosse alla nuova fatica Baroness. Le polifonie intriganti che avevano da sempre contraddistinto gli arrangiamenti dei georgiani ci sono sempre, così come le parti che rievocano sullo sfondo un passato di diversa pasta sonora, e così come qualcosa di ancora attaccato alle radici più metal, sludge rock, progressive, e molte sono le nuove influenze ancora più sviluppate che in “Yellow & Green”, come il post-rock (non a caso Fridman era quello dietro a “Come On, Die Young” dei Mogwai), l’indie (Sleater-Kinney) e l’alt-rock: tutte formule che rendono “Purple” un disco di grande impatto radiofonico e d’appeal di grande portata, supportato, però, da brani solidi e funzionali che, se non intrigheranno per i loro intenti o anima underground, suonano senz’altro come formule perfettamente funzionanti al loro massimo. “Chlorine & Wine” è infatti uno di quei brani che possono essere considerati esemplificativi in tutto e per tutto di questo modo di fare musica: arrangiamenti preziosi inseriti in meccanismi completi fin da subito eppure intriganti e sognatori, che sdoganano i Baroness dalle etichette appiccicate loro addosso e li convertono in un sound definitivo di cui il nuovo “Purple” si fa portavoce. E se l’oltranzismo di certi pareri li relegherà comunque a rinnegati, la macchina del quarto lavoro della band di Savannah è ben oliata e i suoi meccanismi girano alla perfezione.