
8.0
- Band: BARSHASKETH
- Durata: 00:43:30
- Disponibile dal: 09/01/2025
- Etichetta:
- World Terror Committee
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Trasferitosi da tempo nel Regno Unito, dopo aver mosso i suoi primi passi da musicista in Nuova Zelanda, il cantante/chitarrista KG porta avanti la saga dei Barshasketh con un quinto capitolo discografico che ne sancisce definitivamente le capacità espressive nel vasto mondo del black metal contemporaneo.
Pubblicato nuovamente dalla roccaforte World Terror Committee, punto di riferimento inamovibile per un certo tipo di sonorità, “Antinomian Ascetism” sembra voler immortalare il quartetto in uno stato di estasi e catarsi alimentato da una scrittura mai così lucida e rigorosa, nella quale le suggestioni del passato confluiscono per poi essere scomposte e riassemblate in un flusso che sa essere tanto collerico quanto meditativo, oltre che personale per il modo in cui dimostra di gestire e imbrigliare le varie influenze.
A livello di fari stilistici grazie a cui navigare e orientarsi nelle acque scure della materia, si può dire che ben poco sia cambiato rispetto a lavori comunque convincenti come “Ophidian Henosis” (2015) e “Barshasketh” (2019), ma il cambio di passo in termini di autorevolezza, di capacità di imporsi senza soffrire i confronti diretti, è di quelli decisi e lampanti, in un incedere musicale che ha il grande pregio di svelarsi a poco a poco, come la figura di un oracolo tra le nuvole d’incenso.
Uno sguardo lanciato a quelle opere di origine polacca, islandese e americana che nel corso degli ultimi tre lustri hanno segnato profondamente l’underground, mettendoci però del proprio nell’osservazione di paesaggio che – nonostante tutto – ha ancora nicchie da esplorare, recessi caliginosi in cui addentrarsi per mettere alla prova l’elasticità della proposta, e dove mistica e corporeità si esaltano a vicenda in una gradazione ascendente.
Si potrebbero quindi citare gli Svartidauði per le dissonanze e la tendenza a destrutturare le trame in maniera avventurosa, i Mgła per il gusto ieratico di alcuni riff e gli Akhlys per le cadenze roboanti e robotizzate della sezione ritmica, ma l’insieme è comunque dominato da un carattere definito e peculiare, le cui oscillazioni, tra affondi decisamente aggressivi e parentesi più enigmatiche, sono il frutto di una ricerca sonora maniacale che trova poi riscontro in una produzione dettagliatissima a cura di Tore Stjerna (Mayhem, Watain).
Musica che, va da sé, necessita di un ascolto attento per essere compresa e gustata a fondo, riuscendo comunque a tenersi a distanza da quell’ermetismo e da quella ridondanza – spesso sintomo di inespressività del songwriting – abbracciati da diversi colleghi, con la tracklist che non a caso, dall’esplosione di “Radiant Aperture” al rintocco finale di “Exultation of Ceaseless Defiance”, si contiene entro la soglia funzionale e gestibile dei quarantacinque minuti di durata.
Un distillato di atmosfere avvolgenti, mantra ossessivi e riff penetranti che, di diritto, ne fanno il primo grande album black metal dell’anno.