10.0
- Band: BATHORY
- Durata: 00:55:43
- Disponibile dal: 16/04/1990
- Etichetta:
- Black Mark
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Le onde si infrangono gentilmente sulla riva, un arpeggio richiama a prendere nuovamente il mare, ora che l’Inverno è passato; sono le onde stesse ed il mare che obbligano a partire, navigando acque gelide e feroci. Ecco le chitarre aperte e distorte che si abbattono come onde sullo scafo, mentre si leva un’invocazione a Odino: che il padre di tutto ed i suoi corvi guidino la drakkar e non permettano al mare nero come il cielo di prendersi le vite dell’equipaggio. Il ritmo cambia, è più concitato, la voce diventa uno scream violento; la città non si è accorta dell’imbarcazione che si avvicina tra le nebbie ed in un attimo tutto è fuoco e violenza. Gli uomini del Nord lasciano le coste in fiamme. Che Thor colpisca con il suo martello, squarci il cielo e gonfi le vele per riportare tutti a casa. Verrà il nostro ultimo giorno, quando saremo adagiati su una nave di quercia e la marea trasporterà lontano il nostro corpo in fiamme. Questa è “Shores In Flames”, l’opener di “Hammerheart” dei Bathory. In questo disco Quorthon riversa tutto se stesso: ciò in cui crede, le sue battaglie, la sua rabbia ed il suo romanticismo e lo fa in un modo talmente perfetto che ogni singola canzone diventa un racconto evocativo, che ci trasporta esattamente al centro di ciò che viene narrato o rievocato. Segue “Valhalla”, un’ode a Thor: il suo ritmo incalzante richiama la pioggia ed il tuono, i suoi cori sono un giuramento di morte per la gloria e l’onore che conducono al Valhalla. Ecco il palm mute, accompagnato dal drumming quasi tribale di “Baptised In Fire And Ice”: il giorno in cui si nasce, in una terrà ghiacciata per metà dell’anno, ed ogni padre mostra con orgoglio il figlio appena nato, toccandolo con fuoco e neve sciolta. Quando Quorthon ci dice di poter quasi ricordare la scena, quando suo padre lo sollevò verso il cielo più bello che si possa vedere, in qualche modo, ci fa sentire quel bambino, ci fa sentire il calore del fuoco ed il gelo della neve. Quasi possiamo vedere quel cielo. La puntina raggiunge la fine del vinile ed il braccio del giradischi torna al suo posto. Il silenzio che segue è carico di mille significati. Esiste una musica più intensa di questa? Qualcuno ha mai raccontato delle terre del Nord e degli Dei che le popolavano in modo così vivo? Quello che abbiamo appena ascoltato non è solo musica, è l’espressione di chi crede ed ancora sente sue le radici degli antichi guerrieri che hanno popolato le saghe e dato a ferro e fuoco le coste di tutto il mondo allora conosciuto. Giriamo il vinile sul piatto ed appoggiamo la puntina. I Bathory potranno restare su questo livello incredibile? Il rumore di un fabbro che batte sull’incudine, un cane che abbaia in lontananza, una porta si apre sul pianto di un bambino… Inizia “Father To Son”. Se prima eravamo un bambino che vede la luce per la prima volta, ora -nel cerchio della vita- siamo il padre che insegna al sangue del sangue come ascoltare gli insegnamenti del vento, la verità ed il coraggio. Insegna a guardare il fulmine che colpice, il potere del Martello di Thor che va preservato nel proprio cuore e tramandato da padre a figlio: valori che vanno portati sempre con sé, per non arrecare disonore al proprio stendardo. Attraverso un figlio il padre vivrà anche dopo che avrà raggiunto Odino, alla fine di una vita da guerriero. Tutto l’orgoglio e la tradizione di un popolo si trasmettono con gli insegnamenti di un padre al proprio figlio, così come è dall’inizio dei tempi. Ecco “Song To Hall Up High”. Solo la voce di Quorthon ed un arpeggio, una preghiera a Odino; è difficile parlare di qualcosa di così intenso e struggente, perché questa non è una canzone, non è una bella rievocazione della mitologia nordica; questa è una dichiarazione di fede al Dio che veglia su tutto ciò che è vivo e fa da guardiano a tutto ciò che è morto. Quorthon chiede al vento del Nord di portare le sue parole nella grande Sala in cielo, così che possano spalancarsi per lui le porte del Valhalla, quando giungerà il suo momento. Si ritorna al riffing potente e cadenzato con “Home Of Once Brave”, un’ode alle terre del Nord, alle alte montagne, alle tempeste di neve, alle sterminate foreste, al nero gelido mare del Nord. Una terra dove volano i due Corvi, messaggeri di Odino, abitata da un popolo che un tempo era forte e potente, ma che ora non sa più guardare alla sua terra, la casa di coloro che un tempo furono coraggiosi. E poi arriva “One Rode To Asa Bay”. Non si può raccontare questa canzone senza spendere tante parole quante ne abbiamo spese fin qua per il resto del disco e non le si renderebbe comunque giustizia. Questo pezzo è la summa di tutto “Hammerheart” e, attraverso una storia, ci narra di come giunsero uomini con un nuovo dio, di come resero muti coloro che dissentivano, di come pretesero di strappare le tradizioni di un popolo e di imporre le loro. Una storia che ha toccato tutta l’Europa, il “dio della croce” che ha imposto se stesso col sangue e con la violenza. “One Rode To Asa Bay” è un misto di rabbia e tristezza, il canto di un uomo che racconta come tutto ciò in cui ci ha trasportato nel viaggio che è “Hammerheart” sia stato distrutto, come l’onore sia andato perduto e come tutto ciò non sia destinato a fermarsi. Di come non bastò alla gente di Asa Bay costruire un tempio al nuovo dio, di come fu vana la speranza che, avuta la sua enorme chiesa, il dio straniero li avrebbe lasciati stare. Una breve outro conclude il disco e la puntina torna ancora al suo posto. Chi tenta di raccontarvi questo disco, ricorda ancora -senza vergogna- di come si accorse, quando finì la musica, di avere gli occhi lucidi. Niente ha mai più avuto la forza di “Hammerheart”, nulla ha saputo cambiare la vita del sottoscritto quanto questo disco. E quando, dopo molti anni, quelle terre cantate dai Bathory non furono più solo un luogo da sognare, ma si rivelarono in tutta la loro immensità e bellezza, diedero corpo a tutto ciò che questo disco racconta. Davanti alle “selvagge, fredde, profonde e nere onde dell’oceano”, ascoltando i Bathory, le stesse lacrime di rabbia e malinconia tornarono. Perché ciò che Quorthon ha insegnato (almeno al sottoscritto) è la forza di non arrendersi mai, di mantenersi legati ai propri valori ed alle proprie radici. E, dopo ogni ascolto di “Hammerheart”, la voce di Ace Börje Forsberg mi ricorda: “Do never bring your flag disgrace”.