7.0
- Band: BATUSHKA di Bartłomiej Krysiuk
- Durata: 00:27:24
- Disponibile dal: 19/03/2021
- Etichetta:
- Witching Hour
- Distributore: Audioglobe
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Questa volta tocca allo Zar Nicola II, ultimo imperatore Romanov, fare da filo conduttore alla vicenda musicata dei Batushka. Come si deduce dal monicker in lettere romane, questa è l’incarnazione che vede il cantante Bartlomiej come leader, che stacca così ulteriormente l’arcinemico Krzysztof nella gara all’usurpazione del trono – e chissà quindi se è un caso la scelta tematica.
“Carju Niebiesnyj”, alias il Re Celeste, ripropone la formula di un mini album suddiviso in sei parti, da considerare comunque come una sorta di breve concept, i cui brani sono collegati anche dal punto di vista musicale, e questo elemento balza subito all’attenzione come uno degli elementi di forza del disco. Non ci sono troppe rivoluzioni musicali in queste sei “lettere” (“Pismo” I-VI, in originale, intese come missive), tuttavia rispetto alle precedenti uscite post diaspora, dove venivano (anche frettolosamente) riassemblate idee già percorse dalla band polacca con strutture ripetute traccia dopo traccia, qui il tentativo di offrire una sorta di lunga suite non è miracoloso, ma decisamente apprezzabile.
La narrazione è affidata all’intreccio di voci femminili sussurrate e agli iconici vocalismi del corpulento cantante, mentre musicalmente si può notare un maggior dinamismo, in particolare nei pattern di batteria spesso in primo piano e cangianti. Le chitarre tornano a quanto sentito agli esordi, con l’intreccio tra riff ossessivi e passaggi dal gusto folk, con la presenza di diversi momenti in midtempo che si sposano bene alle tonalità baritonali di Krysiuk. Nella parte centrale del disco (“Pismo II-IV”) i Batushka sembrano guardare senza timore al black metal di anni Novanta, con accelerazioni feroci, pur mantenendo inserti melodici e acustici d’effetto, prima di avvolgere nuovamente l’ascoltatore dentro a spire più evocative (“Pismo V”), fino a giungere alla drammaticità teatrale dell’elaborato brano finale, con tanto di tastiere e balalaika. La produzione mostra ancora qua e là qualche momento di cedimento nell’equilibrio tra i tappeti di chitarre e la batteria, come detto talvolta troppo prevalente, ma nel complesso ci pare il miglior prodotto partorito dalla band, in qualunque sua incarnazione, dai tempi di “Litourgiya”.