6.5
- Band: BATUSHKA di Bartłomiej Krysiuk
- Durata: 00:30:30
- Disponibile dal: 07/08/2020
- Etichetta:
- Witching Hour
- Distributore: Audioglobe
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Premessa: evitiamo di addentrarci nella bagarre legale e nelle tentacolari diramazioni dei Batushka, con caratteri latini o cirillici che si presentino, e limitiamoci a dire che ci troviamo davanti al nuovo EP dell’incarnazione guidata dal cantante Bartłomiej Krysiuk; a questo giro tocca a lui battere sul tempo l’arcinemico Kryzstof. “Irmos” è oggettivamente un ritorno positivo, che guarda caso allontana i Batushka dalle ‘sirene’ delle grandi etichette per accasarli presso la piccola ma combattiva Witching Hour; una dimensione che ci pare più consona a una band che deve ancora mostrare di avere un effettivo valore e continuità creativa, e che ci pare fare la scelta migliore anche nella scelta del mini album come dimensione per rimettersi in gioco. “Rascol”, traducibile con ‘diviso’ (e il riferimento alle vicende della band è evidente), presenta cinque tracce che toccano comunque la mezz’ora di durata, nelle quali Krysiuk e gli ormai fedeli compagni fanno un passo indietro rispetto alle incertezze del loro esordio scismatico dell’anno scorso, riappropriandosi del sound primevo dei Batushka, con qualche evidentemiglioria. Le parti acustiche riescono a rievocare il pathos scomparso su “Hospodi”, le salmodie mantengono un ruolo preminente senza affossare il resto degli strumenti, e sposandosi decisamente bene con gli strappi messi in campo dalle linee vocali aggressive; con il risultato che sia il senso di oscura sacralità che le fucilate black metal di “Litourgiya” ritrovano il giusto peso reciproco. I primi due brani e l’ultimo hanno una costruzione piuttosto simile tra loro, con intro e outro rallentate e una cadenzata scansione tra violenza e intimismo; “Irmos III” introduce invece elementi di black atmosferico con l’ottimo lavoro ipnotico delle chitarre, mentre la vera sorpresa è “Irmos IV”: un pezzo al 100% Batushka, in cui tuttavia gli effetti sonori che fanno da tappeto alla litania vocale di Bartłomiej, un soffocante ritmo quasi doom (se si escludono due intermezzi a suon di riff al fulmicotone) e la varietà nel lavoro delle chitarre dimostrano la capacità di reinventarsi, nonostante un nome e uno stampino che parevano condannare i polacchi alla pura reiterazione dello stesso disco. Breve ma intenso, insomma.