7.0
- Band: BEARDFISH
- Durata: 01:14:20
- Disponibile dal: 19/05/2008
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Audioglobe
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I Beardfish sono dei promettenti svedesi, di giovane età, da sempre dediti alla riproposizione e alla rigenerazione del sound prog rock dei primi anni ’70, che con il presente “Sleeping In Traffic: Part Two” giungono alla quarta pubblicazione, la seconda per la lungimirante InsideOut Records. L’avanguardia qui non è di casa, come avrete sicuramente intuito: solo un continuo ad infinito omaggio a quella che è stata l’epoca d’oro di un genere. L’album, prosecuzione naturale del “Sleeping In Traffic: Part One” dell’anno scorso, si struttura in due parti, scandite tra l’intro “As The Sun Sets”, l’outro “Sunrise Again” e divise dalla strumentale “Cashflow”. Questi tre frammenti appena citati si presentano sconnessi dal resto dell’album, come sorta di schegge impazzite, atte unicamente ad interrompere il fluire delle sonorità, e a lasciare che il nostro cervellino si riposi e si prepari a nuove note e a nuovi sogni. Sì, perché la musica dei Nostri presenta notevoli connessioni col mondo onirico (e non ‘soporifero’ come potrà pensare qualcuno di voi), sicuramente a causa della natura notturna del lavoro in questione, che del ‘viaggio’ della giornata si concentra sulla parte finale. I rimandi ad act classici del genere come King Crimson, Hawkwind, Yes, Gentle Giant ed Emerson Lake & Palmer sono sempre dietro l’angolo, e contribuiscono a rendere il tutto estremamente avvolgente e coinvolgente. “Into The Night” sembra uscita da qualche polveroso scaffale dei Genesis, la successiva “The Hunter” si illumina addirittura della follia dei Focus, arrivando quindi inesorabilmente a richiamare da vicino le sonorità scanzonate dei conterranei A.C.T. Arriviamo quindi al vero pezzo da novanta dell’intero album: “South Of The Border”. Qui i Nostri si lasciano davvero andare, e ci consegnano un pezzo che entrerà sicuramente tra i classici della band, e che esprime in modo estremamente teatrale tutto l’amore dei quattro per la musica, senza limiti e senza confini. Infinite parti vanno a comporre il pezzo, che stupisce nella seconda metà, dove una inaspettata influenza dei Beatles si fa strada. Dopo tale bravura è difficile mantenere alta la tensione, ed infatti “The Downward Spiral/Chimay” lascia un po’ il tempo che trova: le melodie non hanno alcuna presa sull’ascoltatore, e le sonorità eccessivamente opprimenti non aiutano di certo. Poteva mancare la suite da mezz’ora in un lavoro simile? Certo che no! Ci pensa la title track, e con i suoi 35 minuti mette tutti a tacere. E’ vero, per molti (e talvolta a ragione) la musica non va concepita in questo modo, ma in casi come questo è davvero un piacere farsi cullare da cotanta abbondanza. Una gioia che traspare da ogni frangente di questa piccola grande maratona, e che ci fa sorridere in occasione della citazione di “Staying Alive” dei ‘falsettosi’ Bee Gees. Ridendo e scherzando, è passata un’ora e un quarto della nostra vita, e mai ci è passato per la testa che sia stato tempo buttato. Qualcuno provi a fermarli, ora.