BECOMING THE ARCHETYPE – Children Of The Great Extinction

Pubblicato il 03/09/2022 da
voto
7.5

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Sono passati ben nove anni dallo scioglimento degli americani (di Atlanta) Becoming The Archetype, ma addirittura quindici da quando uscirono piuttosto inspiegabilmente dai nostri radar di solito molto attivi. E’ dal notevole “The Physics Of Fire” del 2007, difatti, che i BTA non presenziano su Metalitalia.com, e sì che di carne al fuoco, negli anni successivi, ne avevano messa: “Dychotomy” del 2008, “Celestial Completion” del 2011 e “I Am” del 2012 avevano certificato il progressivo spegnimento di una verve compositiva e di un’unità di formazione che aveva sbalordito tutti all’epoca dell’uscita del piccolo grande capolavoro progressive metalcore che fu il loro esordio “Terminate Damnation”, edito nel 2005 in piena esplosione del succitato muscoloso genere e per forza ascritto ad esso, sebbene la proposta dei Nostri fosse già allora di categoria evidentemente superiore. “I Am”, comunque, decretò la fine del gruppo, ormai orfano del nucleo fondatore e con il solo Seth Hecox (chitarra, tastiere) presente.
Dopo il doveroso preambolo, arriviamo ai tempi recenti e se la pandemia è stata frutto di sentimenti pressoché ovunque negativi, bisogna riconoscerle di avere anche attivato meccanismi positivi: proprio durante il 2020, infatti, Seth si riavvicina agli altri due componenti originari del gruppo, Jason Wisdom (voce, basso) e Brent ‘Duck’ Duckett (batteria), per iniziare a comporre quello che è, a tutti gli effetti e stando a quanto dichiarano i tre, un ritorno alle origini sotto tutti i punti di vista. Con “Terminate Damnation” ancora appeso a mo’ di icona in studio di registrazione, i Becoming The Archetype rientrano dunque sulle scene con “Children Of The Great Extinction”, loro sesta creazione: la cover di Dan Seagrave, il titolo dalle tinte epico/apocalittiche, i nomi delle canzoni già predispongono bene all’ascolto; i classici testi della band – che, vi ricordiamo, è cristiana e ha sempre fondato il suo messaggio musicale sulla vittoria del Bene sul Male – ci vengono ripresentati sotto forma di concept sci-fi, non certo una novità dalle nostre parti, ma comunque un ottimo tentativo di rendere il più organica e totalizzante possibile la fruizione di un lavoro che non è più da considerare ‘metalcore’, nonostante alcuni rallentamenti pesanti siano associabili ai peculiari breakdown del genere, bensì esclusivamente progressive metal, con le conseguenze che da ciò derivano.
I Becoming The Archetype non si negano niente e, partendo da un’abilità compositiva e di narrazione sopra le righe, inanellano dieci tracce una più bella dell’altra, caleidoscopiche, spesso imprevedibili, anche difficili da assimilare, certo, ma che ad orecchie allenate sanno risultare anche molto orecchiabili e catchy, proprio per l’innata capacità di Seth e compagni di unire le loro molteplici anime. Ritornelli puliti ariosi e mai stucchevoli si alternano a sfuriate thrash-death metal tecniche e arzigogolate; sezioni pacate con arrangiamenti orchestrali e arpeggi melanconici vengono appaiate a grida belluine che sostengono elementi dal groove spaventoso; qualche assolo piazzato qua e là tramite l’uso di ospiti si affianca ad un umore generale che sa di moderno ma anche di revival, inteso nel senso della volontà del gruppo di far affiorare in superficie una sensazione di dejà-vu atta a richiamare ciò che trasmette ancor oggi, quando riascoltato, il ‘vecchio’ “Terminate Damnation”. L’epos è quello, il feeling di catastrofe imminente, la possanza di un giudizio ultraterreno che colpisce sono lì onnipresenti, e come non percepirli in un mondo che naufraga ogni giorno più verso un futuro burrascoso? “Ma c’è della speranza”, ci dicono i Becoming The Archetype, nel solido tentativo di rendere meno amara l’assimilazione di un platter di spessore e profondità notevoli.
Le prime tre tracce, forse quattro (ma la quarta, “The Calling”, già si protende verso il ghirigoro musicale), sono le meno progressive-oriented del lotto, comunque cariche di arrangiamenti e spunti da far girare la testa, basti sentire quante sovraincisioni di chitarra accompagnate da tastiere e/o orchestrazioni si odono; per non dire del coacervo di voci messo in tavola. Poi, dopo la splendida e commovente strumentale di partizione “The Phantom Field” – se iniziate l’ascolto da tale traccia, essa vi chiarirà subito di che pasta sono fatti i BTA – ci si inoltra nella seconda parte del disco, che ad esclusione della più diretta “The Curse” utilizza più cambi d’atmosfera e sezioni riflessive, ricordando a tratti alcuni lavori e umori della carriera del Devin Townsend medio-violento. Pizzichi di djent emergono ogni tanto evidenti (“The Remnant” soprattutto), ma non è un male e soprattutto non è ostentato, così come il trio atlantino è bravissimo a suonare roboante senza essere ridondante. Non sapremmo ben definirvi un pacchetto di canzoni migliori, “Children Of The Great Extinction” prende bene se ascoltato nella sua interezza, però l’appeal di “The Lost Colony”, la varietà di “The Ruins” e proprio il groove di “The Remnant” sono apprezzabili più del resto.
Se dunque vi eravate persi i Becoming The Archetype all’epoca della loro calata sulle scene, vi diamo lo spassionato consiglio di andarveli a riabbracciare, in quanto questo ritorno alle radici ci pare davvero valido e appagante. E siccome l’Archetipo del loro monicker è stato dalla band identificato quale l’iconica figura di Gesù Cristo, non ci resta che augurare loro una buona resurrezione!

 

TRACKLIST

  1. The Dead World
  2. The Lost Colony
  3. The Remnant
  4. The Calling
  5. The Phantom Field
  6. The Awakening
  7. The Hollow
  8. The Ruins
  9. The Curse
  10. The Sacrament
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