8.0
- Band: BEKOR QILISH
- Durata: 00:41:41
- Disponibile dal: 22/09/2023
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
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Ad un solo anno di distanza dall’esordio “Throes Of Death From The Dreamed Nihilism”, che aveva destato ottime impressioni, ecco di nuovo i Bekor Qilish.
Ciò che balza all’occhio rispetto al passato è certamente il drastico cambio di formazione: mentre nel primo disco la mente del progetto, Andrea Bruzzone, si occupava di gran parte della strumentazione affiancato da ospiti differenti praticamente in ogni brano, nel nuovo “The Flesh Of A New God” il musicista milanese si circonda di una band vera e propria (il chitarrista John Mor, il bassista Otus Rex e Giulio Galati, batterista, tra gli altri, di Hideous Divinity e Nero Di Marte), tenendo per sé solamente voce e sintetizzatori, oltre alla completa scrittura di musica e testi, mentre le comparsate di artisti esterni sono solo un paio.
Se il debutto può essere definito un disco di metal estremo in cui il technical death metal viene interpretato con spirito avant-garde e progressive, questa nuova uscita spinge ancora nella stessa direzione e, pur svanito l’effetto sorpresa, l’impressione è che un minutaggio maggiore abbia consentito a Bruzzone di sviluppare in maniera compiuta le intuizioni già presenti in maniera abbondante nel predecessore. Perché, come si sarà intuito, di carne al fuoco qui ce n’è veramente molta, e poteva non essere semplice gestire questa esuberante creatività, tanto che sorprende come il polistrumentista milanese sia invece riuscito ad incanalare tutti gli stimoli nella giusta direzione.
Prima di tutto “The Flesh Of A New God” è un album feroce, che non perde un grammo della sua potenza nonostante le finezze tecniche, forte di una compattezza che probabilmente deriva dall’avere una formazione fissa dall’inizio alla fine; le atmosfere sono caotiche, ed è proprio una sorta di caos primordiale quello che vuole evocare, amplificato da produzione pulita ma che non smussa tutti gli angoli.
Una quantità elevata di riff e la sezione ritmica sono le colonne portanti, ma le tastiere sono spesso presenti in modo massiccio, sia come componente del tappeto sonoro sia in qualche intermezzo, mentre la voce si muove tra un growl profondo ed uno scream invasato. Rispetto al debutto, arricchito in ogni brano da un ospite che forniva un apporto differente, questa volta è più difficile individuare dei momenti che spiccano ma, una volta assimilati, questi brani sorprenderanno per la loro varietà e per le soluzioni mai scontate e gli spunti personali che contengono, come le aperture melodiche in stile Cynic di “Unobtainable Transformations”, o i suoni sintetici di che fanno da contrasto ai ritmi plumbei e rallentati dal sapore doom di “The Flesh Of Terror”. Più vicina al black “Infinite Self-Reflecting Circles”, che può rammentare gli Imperial Triumphant meno leziosi, impreziosita anche da un visionario solo di sax, mentre le chitarre martellanti di “Enshrouding Wrath” flirtano con il thrash, sprigionando rabbia incontrollata. Due gli strumentali: la ‘morriconiana’ “Unaware Gods” e “Beggars” che, invece, suona sinistramente prog.
Un album che trae innegabilmente ispirazione dall’operato di band leggendarie quali Pestilence o Atheist, per attitudine e per coraggio più che per mera equivalenza e per questo brilla di luce propria.