8.0
- Band: BELL WITCH
- Durata: 01:23:15
- Disponibile dal: 21/04/2023
- Etichetta:
- Profound Lore
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Presentato nella sua interezza sul palco del Roadburn Festival lo scorso 21 aprile, e rilasciato digitalmente lo stesso giorno (per le versioni fisiche bisognerà pazientare fino a giugno), “Future Shadow’s Part 1: The Clandestine Gate” è l’ennesimo attestato di audacia artistica e talento visionario conseguito dai Bell Witch nella loro ormai invidiabile carriera. Una parabola avviata un decennio fa dalle gravi litanie dell’esordio “Longing”, più canonicamente funeral doom, e assurta a vette di puro lirismo grazie alla tensione sperimentale dei successivi “Four Phantoms” e – soprattutto – “Mirror Reaper”, con quest’ultimo a tracciare un solco indelebile nella storia più recente del genere e della musica pesante in senso lato. Un capolavoro figlio dell’elaborazione di un lutto inaspettato (la morte del cantante/batterista originale Adrian Guerra) a cui è seguito, in piena pandemia, il fortunato progetto Stygian Bough, il quale ha visto la formazione di Seattle smettere i panni di duo, accogliere alla voce e alla chitarra il cantautore dark folk Erik Moggridge (Aerial Ruin) e imbarcarsi – una volta cessate le restrizioni – in una serie di tour di alto profilo, tra cui quello dello scorso autunno di supporto ai Wolves in the Throne Room.
Oggi, archiviata temporaneamente la suddetta collaborazione, Dylan Desmond e Jesse Shreibman riabbracciano il monicker di sempre per consegnarci il primo capitolo di una trilogia che andrà a completarsi nei prossimi anni – “Future Shadow’s”, appunto – e che in questo “The Clandestine Gate” vede la proposta dei Bell Witch rarefarsi fino a diventare, a tratti, bruma spettrale, il flebile battito di un organismo prossimo alla fine, l’ipnotica e pulsante soundtrack di una pellicola impressionista in bianco e nero. Una spinta interiore dal manifestarsi compassato e minimale è ciò che guida la stragrande maggioranza dell’opera, che partendo dal medesimo formato del disco del 2017 (una sola traccia per ottantatré minuti di musica) sembra guidare l’ascoltatore in una dimensione in cui a prevalere sono le tonalità di grigio e un senso perenne di distacco dalla fisicità e dal reale.
Già adoperate abbondantemente in passato, le trame di mellotron diventano qui un elemento centrale e imprescindibile della narrazione, con effettistica e sintetizzatori a punteggiare ulteriormente la palette e acuire il carattere atmosferico della suite, per ampi tratti del suo svolgimento più vicina al mondo impalpabile dell’ambient che a quello roboante del metal. Una scelta, quella di dedicarsi al microscopico e di esplorare il concetto di armonia in modo tenue e misurato, che rende paradossalmente la fruizione più complessa e impegnativa rispetto al passato, ma che al contempo esalta la personalità e il coraggio della band in un flusso che non trova altri paragoni stilistici all’interno della scena. Oggi più che mai, i Bell Witch si impongono tra le mille formazioni funeral e death/doom del panorama underground con un’identità fortissima, in cui non è più l’assenza della sei corde (in favore del basso ingegnoso e poliedrico di Desmond) a spiccare, bensì una concezione dell’Arte che trascende lo standard e il conosciuto per esprimersi attraverso un linguaggio proprio, riconoscibile sia nei momenti in cui la musica si assottiglia fino a diventare un sussurro, sia durante le digressioni che vedono Shreibman scuotere le viscere con le sue percussioni e il suo growling.
A patto di non lasciarsi intimorire dalla durata monstre e di approcciarlo con il giusto livello di concentrazione e apertura mentale, “The Clandestine Gate” farà insomma ciò che tutti i grandi album fanno: emozionare nell’accezione più alta e pura del termine, ribadendo la profonda poetica dei suoi solitari autori.