7.5
- Band: BELPHEGOR
- Durata: 00:42:45
- Disponibile dal: 29/07/2022
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Possiamo dire che il nuovo album dei Belphegor è un buon disco? Possiamo? E allora diciamolo, anzi scriviamolo: “The Devils” merita, diamo ad Helmuth e Serpenth ciò che è di Helmuth e Serpenth. Arrivata a quota dodici uscite (con circa un mese di ritardo sull’iniziale tabellino di marcia), la (poco) sobria creatura austriaca, fautrice di un maligno e sempreverde death metal crogiolante sangue da ogni riff, è riuscita a riportare interesse verso una proposta che, nella sua coerenza nei confronti dei canoni compositivi pluridecennali, stava risultando anonima o quanto meno poco intrigante, intrappolata ormai dall’orgia blasfema – e a tratti anche pacchiana – presentata, non solo in sede live, da Helmuth e compagni; caratteristica, quest’ultima, responsabile di una certa etichetta di poca serietà ormai impressa sul gruppo di Salisburgo. Ma se il gusto per l’orrido mantiene il suo target ancora oggi, e quindi è ben presente anche in “The Devils” (i due singoli apripista ne sono la diretta testimonianza), è la musica questa volta a svoltare leggermente il classico copione, confermando quanto di buono si era a tratti già intravisto nell’ultimo “Totenritual”.
Assodate le consuete mitragliate, rintracciabili in brani quali “Totentanz-Dance Macabre” o “Damnation – Hollensturz”, il nuovo disco si rivela come uno dei lavori più epici e sinfonici dei Belphegor, mantenendo comunque ben salda la componente malefica che da sempre contraddistingue il loro sound. Dalla liturgia satanica firmata “Virtus Asinaria – Prayer” (insieme a “Totentanz-Dance Macabre” ha già trovato spazio nei recenti show della band), alla malinconica “Glorifizierung Des Teufles” sino a “Kingdom Of Cold Flesh”, dall’andamento arabeggiante, gli episodi più cadenzati e pomposi hanno avuto la meglio in “The Devils”, la cui titletrack, posta come opener, risulta uno dei brani migliori di un album che trova la sua conclusione in un medley composto da due pezzi del 1997, “Blackest Ecstasy” e “Blutsabbath”, entrambi estrapolati dall’omonimo full-length. Se vogliamo dirla tutta infine, i Belphegor non spiccano certamente di varietà, ma loro coerenza di mestiere (e di immagine) è innegabile. Certo, avrebbero potuto imborghesire il proprio credo diabolico seguendo il filone perpetrato da alcune band polacche che negli anni hanno ricevuto sempre più consensi, ma avrebbero sicuramente perso la loro identità grossolana, rozza e se vogliamo pure immatura ma che, tuttavia, rimane in linea con la loro storia discografica ormai trentennale. Helmuth non abbassa il tiro, kitsch sempre e comunque: sta a voi prendere o lasciare.