7.0
- Band: BENEDICTION
- Durata: 00:47:25
- Disponibile dal: 04/04/2025
- Etichetta:
- Nuclear Blast
Spotify:
Apple Music:
I Benediction tornano con “Ravage of Empires”, un disco che si può considerare il gemello spirituale del fortunato “Scriptures”, vecchio ormai di cinque anni.
Di nuovo, ritroviamo gli storici chitarristi Peter Rew e Darren Brookes riuniti con l’amato frontman Dave Ingram e spalleggiati da due innesti più giovani e prestanti, il batterista italiano Giovanni Durst – ormai una garanzia dietro ai tamburi – e il bassista Nik Sampson, quest’ultimo ufficialmente subentrato nel 2023. A governare il tutto, in sede di regia, un’altra forza relativamente fresca: il produttore Scott Atkins, noto per le scintillanti produzioni donate a Cradle Of Filth, Sylosis e allo stesso, succitato, “Scriptures”. Una figura importante per conferire alla proposta del quintetto un minimo di quella veste contemporanea che un’etichetta come la Nuclear Blast Records ormai da tempo pretende.
Partendo da queste basi, il team dà vita a un disco che, proprio come il suo diretto predecessore, riprende gli stilemi classici del suono Benediction portandolo ai giorni nostri, con suoni nitidi e corposi a fare da cornice a un death metal che ancora una volta strizza l’occhio ai classici del repertorio del gruppo, di conseguenza senza mai tradire quelle radici a base di Celtic Frost da sempre presenti nel DNA della formazione.
“A Carrion Harvest” apre l’opera con un prevedibile incedere da rullo compressore, mettendo subito in chiaro le intenzioni della band: riff semplici e pastosi, il solito orecchio per il groove, una struttura immediata e, infine, il carismatico growl di Dave Ingram, sempre trascinante. I singoli “Engines of War” e “Crawling Over Corpses” ribadiscono quindi la formula vincente, con la prima che riprende in modo quasi dichiarato il tiro di una “Stormcrow”, singolo trainante di “Scriptures”. Qua e là, questa volta si sente poi nitidamente anche un bel tocco slayeriano, con diversi riff chiaramente ispirati ai maestri thrash californiani, per delle parentesi che donano ulteriore dinamismo alla scaletta, pur senza mai tradire il tipico incedere fosco e massiccio di marca Benediction.
Detto ciò, rispetto al diretto predecessore, il songwriting appare leggermente meno coeso: laddove “Scriptures” beneficiava di una gestazione lunga e meditata, qui il flusso creativo sembra un pochino meno costante, con alcuni brani che, pur solidi, tendono a perdersi in un approccio più meccanico e prevedibile, finendo per non elevarsi alla stessa altezza dei momenti migliori della tracklist.
Nonostante qualche episodio meno brillante, l’entusiasmo della band risulta comunque palpabile e l’apporto dei nuovi innesti continua a dare energia al gruppo. La title-track, ad esempio, è un altro pezzo interessante, a dimostrazione di come la band abbia ancora qualcosa da dire anche quando i toni si fanno un filo meno esasperati.
In definitiva, si può parlare di un disco di sostanza, ovviamente privo di azzardi stilistici, ma complessivamente ben costruito e suonato con mestiere. Del resto, non ci si può aspettare esperimenti da una realtà come i Benediction, ormai nella fase più matura della propria carriera, e sicuramente sarebbe persino fuori luogo pretenderli. Se rispetto a “Scriptures” manca quel guizzo in più, il lavoro resta comunque solido e piacevole, confermandosi nel suo insieme superiore ad alcuni vecchi capitoli discografici poveri di idee e prodotti in maniera confusa. Un lavoro quindi capace di intrattenere, a partire dalla sua onesta attitudine old school per arrivare a una manciata di brani che non sfigureranno nella scaletta dei prossimi concerti.