7.0
- Band: BENIGHTED
- Durata: 00:36:39
- Disponibile dal: 12/04/2024
- Etichetta:
- Season Of Mist
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I Benighted sono il classico esempio di gruppo partito dal basso che, con perseveranza e olio di gomito, è riuscito a costruirsi una carriera e una fanbase rispettabilissime, passando per varie etichette underground (Adipocere, Osmose) prima di stabilirsi sotto il tetto dell’affermata Season of Mist e raggiungere – non senza scossoni a livello di line-up – quota dieci full-length.
Un traguardo reso possibile innanzitutto dalla guida ferma e decisa del frontman Julien Truchan, unico membro originale rimasto e primo elemento riconoscibile della proposta grazie alle sue performance vocali esagerate, e in secondo luogo da uno stile affinatosi con coerenza nel corso degli anni, partendo da basi death/grind tutto sommato ‘classiche’ per arrivare a qualcosa di più snello, moderno e aperto alla contaminazione.
Certo, i Nostri non hanno mai potuto contare sul talento e sulla capacità di sparigliare le carte degli amici Aborted e Cattle Decapitation, inoltre è chiaro come l’apice della parabola toccato da dischi come “Asylum Cave” e “Carnivore Sublime” sia oggi lontano, ma ciò non toglie che anche in questa fase di ‘normalizzazione’, rappresentata da opere come “Obscene Repressed” del 2020 o dal nuovo “Ekbom”, i motivi di interesse per gli amanti di certi suoni non vengano a mancare, con lavori comunque sempre gradevoli e curati.
Anche in queste dodici tracce, registrate come di consueto nei tedeschi Kohlekeller Studio (Cytotoxin, Kanonenfieber, Powerwolf), il mix di frenesia e groove del quartetto si mantiene infatti su livelli dignitosissimi di presa e scorrevolezza, snocciolando l’ennesimo concept a tinte disturbanti senza eccedere né nell’uno, né nell’altro senso, con le parti più tecniche lontane dal sembrare un’insalata di riff e blast-beat e quelle più ignoranti, figlie della prima ondata death-core di Dying Fetus e Despised Icon, che evitano di imboccare la via della banalità e del puerilismo.
Detto che le sviolinate black metal non mancano all’appello (basti sentire le melodie à la Dark Funeral di “Mother Earth, Mother Whore”), e che a questo giro gli ospiti al microfono rispondono al nome di Oliver Rae Aleron (Archspire) e Xavier Chevalier (Blockheads), è facile inquadrare “Ekbom” come il classico album ‘di sostanza’; poco meno di quaranta minuti di musica in cui gli interpreti coinvolti, ormai perfettamente consapevoli dei loro punti di forza e di debolezza, rispettano le attese di pubblico e critica, non si assumono troppi rischi e affondano il colpo nei momenti chiave della tracklist (inizio, centro, fine), alternando brani incisivi e filler che, fortunatamente, non smorzano più di tanto l’impatto generale.
Per qualcuno tutto questo potrà sembrare poco, ma crediamo siano altre le formazioni che debbano dimostrare qualcosa alla scena modern death metal, e non di certo la compagine di francese (la cui solidità, dopo ventisei anni di trascorsi alle spalle, è e resta ammirabile).
In definitiva, forse qui non ci si imbatterà nelle nuove “Let the Blood Spill Between My Broken Teeth” o “Collection of Dead Portraits”, ma l’ascolto, dall’intro orrorifico di “Prodrome” alla suddetta “Mother Earth…”, non tarderà a lasciare un buon sapore in bocca. Di sangue, va da sé.