BERGRAVEN – Till Makabert Väsen

Pubblicato il 11/12/2012 da
voto
9.0
  • Band: BERGRAVEN
  • Durata: 00:53:02
  • Disponibile dal: 23/06/2009
  • Etichetta:
  • Hydra Head
  • Distributore: Goodfellas

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Non si può chiudere l’anno senza ricordare degnamente la Hydra Head Records di Aaron Turner, autentica fucina di sonorità incredibili e scopritrice di talenti inimmaginabili e ormai indispensabili. La Hydra Head era, è, e probabilmente sarà sempre l’unica vera casa di tutto ciò che è ‘post’, sia esso metal, hardcore, punk, rock o qualunque altra cosa riuscita ad andare oltre le semplici regole del gioco di cui fa parte. E come identificare dunque un’uscita-chiave di questa etichetta, visto che il catalogo della label è praticamente fatto di uscite-chiave? Semplice, andiamo oltre, scaviamo nei suoi meandri, nei suoi sterminati archivi alla ricerca di qualche gemma perduta. Di quella gemma che è forse l’uscita più misteriosa, oscura, strana e sconosciuta mai licenziata dall’etichetta. E la ricerca condotta tramite questi parametri ci ha portati dall’unico candidato possibile che rientra in questa categoria di uscite, ovvero a “Till Makabert Väsen”, oscurissima opera di una one-man-band che non ha mai suonato dal vivo, mai fatto alcuna apparizione pubblica, mai neanche avuto un sito web. Dietro al monicker si cela tale Pär Gustavsson, musicista svedese praticamente sconosciuto, che in un 2009 ancora non troppo lontano dal presente, con “Till Makabert Väsen” giungeva al terzo full-length a nome Bergraven. Oscuro il peronaggio e oscura l’uscita dunque, visto che nessuno pare si sia accorto della gemma che era stata partorita. Oscurissima anche, come era inevitabile fosse, la musica contenuta in questo album che ci mostra un musicista black metal, fino a quel momento alquanto integralista e tradizionale, impazzire completamente, perdere il senno e creare un’opera vastissima, surreale, contaminatissima e impossibile da categorizzare o da definire. Di “Till Makabert Väsen” stupisce innanzi tutto la qualità del suono. Incredibile credere che questo album sia stato scritto, suonato e registrato da un solo uomo. I suoni sono assolutamente stellari, morbidi, avvolgenti, sono ciò che comunemente si sente nelle ammalianti e strutturatissime spire soniche di lavori jazz o neoclassici. Rivelano uno studio meticolosissimo e quasi compulsivo del suono e della forma musicale tutta, per assicurarsi che neanche una nota vada perduta. Caratteristica impensabile, questa, per un genere come il black metal, in cui regna sovrana la crudezza e la visceralità di suoni solitamente affatto curati. Riuscire a spiegare cosa sia effettivamente “Till Makabert Väsen” è dunque un compito incredibilmente arduo: il lavoro parte da lontanissimo e nei suoi incredibili cinquanta e passa minuti riesce a coprire un territorio immenso e costellato da regioni sonore diversissime e spesso in guerra aperta fra loro. Si parte dai Bathory più epici, quelli lenti, monolitici e magmatici del primo periodo viking, ovvero quelli di lavori come “Hammerheart” e “Twilight Of The Gods”. Le voci di Gustavsson rimandano direttamente anche alle prime gesta vocali di Quorthon e alla crudezza dei primi due-tre album, ma l’intero impianto vocale del disco finisce per essere inevitabilmente dominato da un teatralismo vocale surreale e sbilenco che materializza infine un quadro musicale dominato da un’epicità disperata ed esasperata, ma anche bizzarra e completamente eccentrica. Le chitarre sono giganti, caratteristica insolita per il black metal; le ritmiche, lente e funeree, sono dominate da un eclettismo onnipresente e completamente ‘storto’; rimandano al doom metal per l’andazzo comatoso che propinano, ma si trainano dietro anche una discreta matassa di detriti shoegaze e post-rock per la varietà costante e le disparità con le quali avanzano, rimandando direttamente a mondi musicali impensabili per il genere: agli Slint, ai Tortoise…agli Shellac. Ma sono le linee e le strutture del blues, che pervadono l’impianto musicale viking-black di Gustavsson come fossero un cancro, le componenti più incredibili e surreali della musica dei Bergraven. Le linee di chitarra di Gustavsson sono riprese direttamente dal black metal per il sound e il colore, nero come la notte, ma vengono poi suonate dal musicista in maniera strambissima, deforme e completamente spastica, senza disdegnare neppure escursioni assurde nella slide guitar e in passaggi jazzati, fra i quali si riconosce anche un contrabbasso. Man mano che ci addentriamo nel disco, ci accorgiamo che la sintesi effettuata da Gustavsson è impensabile ma vera: black metal, blues, noise rock, musique concrete e jazz vengono amalgamati dallo svedese in maniera surreale e in un equilibrio impossibile. Vengono in mente i deliri metallici e folky degli Swans e della loro no-wave infernale (“Asketens Enda Prydnad” e “I Timmen När Allt Är Över”), le contorsioni noise-blues degli Oxbow (“Det Andra Liket”, “Fasa”) e l’avvenirismo jazz-metal dei Kayo Dot (“Hunger”, “Jag Lever Djävul”). Tutto questo sfarzosissimo e immenso amalgamare di generi è poi portato a compimento da Gustavsson senza alcun indugio tecnico o stilistico, senza alcuna incertezza, senza alcun freno artistico. Alla perfezione senza alcuna sbavatura, il musicista svedese è riuscito a distillare tutta questa enorme e disparata massa di materia musicale in sette composizioni splendide che respirano e ribolliscono di vita, di colori, di umori sboccianti. Il songwriting è ineccepibile, le melodie surreali per bellezza e nitidezza. Assoli fluidissimi di chitarre jazzate e spagnoleggianti vanno a infrangersi splendidamente contro muraglie immense di blastbeat e urla luciferine. Passaggi blues e soul elettrificati, pregni di armonia e grazia, cadono a cascata su un tappeto di math rock, noise rock e sheogaze dalle trame fittissime e tessuto in maniera finissima senza lasciare nulla al caso. Finito l’ascolto ci accorgiamo che, per cinquanta e passa minuti, Gstavssson si è preso gioco di tutto e tutti materializzando un’opera senza forma o nome, ma che trasuda genio da ogni singola nota suonata. Tutto, di “Till Makabert Väsen”, rende il disco un capolavoro ma nulla, della sua surreale ed ecclettissima essenza musicale, lo rende un lavoro dal benchè minimo appeal di massa. Ecco perchè ve ne abbiamo voluto parlare: pochi, se non nessuno, sanno che esiste.

TRACKLIST

  1. Drömmen Om Undergång
  2. Fasa
  3. Asketens Enda Prydnad
  4. Hunger
  5. Det Andra Liket
  6. Jag Lever Djävul
  7. I Timmen När Allt Är Över
1 commento
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