6.5
- Band: BETRAYING THE MARTYRS
- Durata: 00:48:00
- Disponibile dal: 27/01/2017
- Etichetta:
- Sumerian Records
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I Francesini sfornano ad oggi il loro album più ‘easy’ di sempre (nonostante la mancanza di cover Disney). E’ un pregio o un difetto? Sta a voi l’ultima parola. La band, dopo l’ottimo “Phantom” del 2014, che l’ha consacrata come una delle sensation di quell’anno, si è lanciata in un’attività live a capofitto in giro per tutto il globo con i soliti nomi del metalcore teen-oriented mondiale (Asking Alexandria, Motionless In White, Chelsea Grin e cosi via), diventando una delle band di punta della Sumerian, etichetta notoriamente regina di questo tipo di sonorità. Nel corso dell’ultimo anno ne abbiamo un po’ perso le tracce, temendo in una sorta di burnout da tour o qualcosa di simile, ed invece nell’estate del 2016, i ragazzi si sono rifatti vivi sui social pubblicando il video del nuovo singolo “The Great Disillusion” (anticipatorio di quest’ultima fatica in studio, la terza della loro breve ma intensa storia), nel quale si può notare la defezione del batterista Mark Mironov in favore del nuovo arrivato Boris Le Gal, ed un sound abbastanza fedele al periodo precedente, con però una limatura nei confronti delle divagazioni più sinfoniche. L’altro singolo “We Wont Back Down”, midtempo pesante e ficcante sulle stragi di Parigi, ha visto la luce il 13 novembre, esattamente un anno dopo la tragedia, mentre la terza “A Loss For Words” appena due settimane dopo. E questo trittico di singoli, di per sè, basterebbe per avere un’idea di come questo “The Resilient” suona, dato che il disco in questione gira come un perno attorno a più o meno le stesse soluzioni, ovvero molta più orecchiabilità, parti pesanti e ribassate, inserti di elettronica e ritornelli tendenzialmente copia carbone. Niente di cattivo, per carità, anzi le qualità dei francesi nel buttare giù pezzi sempre piacevoli, cattivi il giusto e catchy traspare con buona continuità, solo che la band sembra dare la sensazione di essersi voluta adagiare su quello che sa di saper fare meglio, puntando più su di un sicuro bottino piuttosto che ad un’ulteriore esplorazione delle proprie capacità . Ad esempio, la cazzutissima “(Dis)connected” è già una hit sicura, così come la title track, dove i Nostri rispolverano tutta la loro anima operistica andando a buttarsi su di un sinfonico glaciale, ma oltre questo abbiamo davvero poco di veramente memorabile in questi 50 minuti. Una buona prova per i piccoli lord del metalcore, che si colloca però decisamente più indietro rispetto quanto fatto vedere tre anni or sono, ma che comunque crediamo che piacerà a tutti gli estimatori della band parigina.