7.5
- Band: BIOHAZARD
- Durata: 00:39:14
- Disponibile dal: 17/10/2025
- Etichetta:
- BLK II BLK
Spotify:
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“Down for Life” significa “Fratelli per la Vita”, “Leali per Sempre”, “Fedeli fino alla Fine”. Uno slogan che tatua il senso di appartenenza, una promessa che non si può rompere, un manifesto di lealtà incorruttibile. “DFL” è sempre stato il motto dei Biohazard, formazione di Brooklyn che con la sua formula non solo è diventata leggenda nel mondo hardcore, influenzando generazioni di musicisti e mantenendo un impatto duraturo ed immortale nella scena, ma ha posto anche le fondamenta per il crossover ed il nu metal, grazie all’inclinazione naturale per il groove e la commistione con l’hip hop.
Concepire, di conseguenza, la formazione senza il contributo di uno dei quattro membri fondatori, coloro che hanno scritto i capolavori ineguagliati “Biohazard” (1990), “Urban Discipline” (1992) e “State of the World Address” (1994), per qualsiasi affezionato alla band è sempre stato difficile, se non impossibile. Certo, “Mata Leão” (1996) rimane un signor disco, sulla scia dell’eccezionale “SOTWA”, ma il tocco del chitarrista Bobby Hambel, con i suoi brevi assoli a dare movimento alle composizioni del gruppo, è letteralmente insostituibile. Non ne parliamo quando ad assentarsi è stato Evan Seinfield, bassista che condivide il ruolo di cantante e frontman, il quale per anni si è perso nel mondo dell’intrattenimento per adulti, arrivando ad anticipare addirittura l’idea milionaria dietro OnlyFans.
Il quartetto originale – Seinfeld, Graziadei, Hambel, Schuler – si riunisce brevemente nel 2008 per una serie di date e nel 2011 per registrare “Reborn In Defiance”, ma è soltanto la morte del manager Scott Koenig, nel 2022, a riavvicinare i quattro e portarli ad una seconda vera e propria reunion. Da questa nasce il decimo album in studio “Divided We Fall”, che dopo la bellezza di trent’anni riporta i Bio alle coordinate storiche con una collezione di undici tracce che riprendono fedelmente il suono dei classici della gang di Brooklyn. Il trademark sonoro della band è riproposto in maniera impeccabile ed è ben più fedele al passato dell’ultimo “Reborn in Defiance”, con l’alternanza di strofe sparate, le gang vocals potenti, i ricami chitarristici, i riff groovy sovrastati dalle grida sgolate di Graziadei e le partiture cadenzate/rappate di Seinfeld che vivono di nuovo. Le punitive “Fuck the System”, “Tear Down the Walls” e “The Fight to be Free” faranno saltare in aria chi si porta sulla pelle il logo del gruppo ravvivando le caratteristiche peculiari appena citate, mentre “Forsaken” e “Word to the Wise” ravvivano quelle vibe più strettamente punk di “Mata Leão” con partiture veloci e una formula più asciutta, riottosa e tagliente. In quest’ultima traccia sembra davvero di tornare indietro nel tempo con le stesse identiche dinamiche e soluzioni che abbiamo imparato a memoria, ma anche la stessa ispirazione e lo stesso tiro incredibile, coi soli di Hambel e le gang vocals sul finale che fanno letteralmente volare.
C’è anche qualche variante sfiziosa, qua e là, come i riff sulfurei che ricordano gli Slayer in “Eyes on Six” e qualche coro melodico che fa molto vecchia scuola, ma sono puramente elementi di contorno in una raccolta che punta a recuperare e rianimare tutti i punti di forza della scrittura dei tempi, con quell’attitudine rissosa e senza compromessi che da sempre ha reso la band pericolosa quanto esaltante.
Siamo davanti al miracolo dunque, ad un classico istantaneo che sfida le leggi del tempo? Sinceramente, detto da una persona che stravede per la formazione e l’ha seguita dal giorno uno, non è questo il caso. Sebbene il quartetto, tra i cinquantacinque e i sessant’anni, dimostri una forma fisica invidiabile – soprattutto l’incredibile Seinfeld, più in forma oggi che nei suoi anni da attore porno – le voci sono naturalmente invecchiate, suonando con un timbro più grave, mentre l’impatto di alcuni brani, basandosi per intero sull’impatto fisico, non appare rallentato né imbolsito, e questo è incredibile soprattutto se lo si paragona ai capolavori dei ’90, quando i componenti del gruppo erano nel fiore degli anni (ed imbottiti di cocaina). Semplicemente, “Divided we Fall” sfrutta gli stessi identici meccanismi, le stesse soluzioni, le stesse dinamiche e gli stessi suoni degli album storici, suonando come una riproposizione che non è necessariamente sterile, non è senz’anima o mal eseguita, ma è semplicemente e formalmente ripetitiva. È anche normale, inoltre, constatare che dopo trenta lunghi anni il tutto abbia un impatto diverso, ovviamente.
Siamo comunque di fronte ad un gran bel disco, in grado di sfidare le leggi del tempo e capace di far rivivere i fasti del passato. Un disco senza veri scivoloni e senza punti deboli, formalmente perfetto, capace di fare il culo a moltissime formazioni di decenni più giovani. Sta proprio qui la chiave di lettura e il punto di forza di “Divided We Fall”: dopo tutti questi anni, i Biohazard hanno dimostrato di avere pochissimi rivali dal vivo, e anche su disco – ora ne abbiamo le prove – sanno ancora dare del filo da torcere… ovviamente senza avere l’impatto e la risonanza, nel 2025, dei Knocked Loose. Soprattutto – cosa che farà felice tantissime persone – i Biohazard ci sono ancora ed hanno ancora senso di esistere. Down for life!
