7.5
- Band: BIOHAZARD
- Durata: 00.42.36
- Disponibile dal: 20/01/2012
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
Spotify:
Apple Music:
Come un blindato impazzito, sin dal lontano 1987, i Biohazard hanno corso veloce, sbandato parecchio, si sono procurati cicatrici e han fatto danni. Anche condividendo il palco con i “Big” del NYHC non si sono mai considerati “defenders of the faith” (come i Terror ai giorni nostri), ma hanno inglobato nel loro suono pesanti influenze metal, groove, hip hop, andando a rappresentare i “blocchi” di Brooklyn con viva credibilità, portandosi dietro quella pericolosità ormai irrintracciabile nel “tough” hardcore metal tanto diffuso. Per intenderci, andando ad un loro concerto, si provava una sensazione reale, concreta e fisica di paura. Arrivati all’apice di successo e creatività con “State Of The World Address” il gruppo si separò da Bobby Hambel nel 1994, ed apparve evidente, in tutti gli album successivi, come l’apporto del chitarrista fosse stato fondamentale per il sound della band: i cinque album pubblicati nell’arco della decade 1995-2006 fecero spegnere lentamente l’interesse verso i newyorkesi, che restarono sempre sopra la sufficienza, ma riproponendo in maniera sterile il proprio trademark compositivo. Complice il 20° anniversario della band, Hambel è tornato in formazione per un ciclo di tour che dimostra l’attuale stato di forma di una realtà sopra le righe, rimanendo anche per un nuovo capitolo in studio. E’ a questo punto che, nel giugno 2011, Evan Seinfeld annuncia in maniera inaspettata lo split col gruppo, rimanendo incatenato per naso, uccello e portafogli alla mini pornostar Lupe Fuentes e al fatiscente castello dorato del porno. “Reborn In Defiance”, nella sua tormentata gestazione, ci viene dunque consegnato come un testamento, l’eredità dei “veri” Biohazard. Con rammarico, lo descriviamo dunque quasi come un disco postumo. Un peccato, perchè, digerito l’album dopo alcuni ascolti, si capisce come la migliore incarnazione del gruppo abbia fatto scattare ancora quella scintilla che mancava in lavori pur buoni come “Uncivilization”. Non aspettatevi un disco ai livelli di “Urban Discipline” o “State Of The World Address”, sia chiaro (siamo sempre nel 2012), ma in più punti questa raccolta si dimostra più che lodevole. L’alchimia della formazione si ritrova immediatamente nel riproporre tutto ciò che desidera un fan di vecchia data: l’apertura affidata a “Vengeance Is Mine” ne è esempio perfetto, così come “Decay”, “Reborn”, “Skullcrusher” o “Never Give In”. Qui viene mischiata la vena melodica di Graziadei con le cadenze sporche di Seinfeld, in un riffing ribassato dai suoni grandi e metallici, più strettamente metal rispetto al passato, ma con lo stesso suono abrasivo, brutale e infarcito di gang vocals e sing-along. Tutto questo viene impreziosito e portato al livello superiore dallo stile unico e inconfondibile di Bobby Hambel che, oltre al riffing originale e granitico, regala solos incisivi e melodici, facendo urlare la chitarra con rara espressività, dimostrando di non aver perso il tocco e di essere un artista ampiamente sottovalutato. L’album presenta anche momenti puramente riflessivi in “You Were Wrong” e nel finale “Season The Sky”, ma le vere chicche sono, a parere di chi scrive, i brani dove viene riscoperto quello spirito pionieristico presente nei capolavori della band: “Come Alive” condensa il migliore spirito hardcore nella strofa e torna ai fasti crossover di “How It Is” nel ritornello, in un pezzo tiratissimo e sperimentale; “Vows Of Redemption” flirta con l’hip hop in un blues metropolitano elettrico e violento, da antologia. Respiriamo ancora una volta i vapori dei tombini della Grande Mela, lividi di uno scippo andato a male per (il malvivente) e con l’adrenalina di una corsa verso la metropolitana per essere capitati nel vicolo sbagliato al momento sbagliato. Ancora una volta ci rammarichiamo per la sfortuna del gruppo, che aggiunge nuovamente un alone leggendario aggiungendo alla realtà quell’aura magica del “cosa sarebbe successo se…”. Questi sono i Biohazard, ed è meglio ricordarli in questo frammento meritevole che vederli spegnersi lentamente in mezzo a manciate di reunion di dubbio valore. Down for life!