7.5
- Band: BIPOLAR DISORDER
- Durata: 00:50:30
- Disponibile dal: 29/06/2020
- Etichetta:
- DHS Records
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Bipolar Disorder è un duo ungherese, composto dal polistrumentista Tøth Jøzsef (chitarra, batteria e sintetizzatore) e dal cantante Sütő Gábor, autore dei testi, e “Agony Of Melancholy” è il loro esordio sulla lunga distanza, dopo aver pubblicato un EP all’inizio di quest’anno. La loro proposta è un death/doom, talora tendente al funeral, con punti di riferimento classici: si sentono echi di primi Katatonia, Disembowelment, Evoken e tutto ciò che di meglio gli anni ’90 ci hanno regalato in questo ambito estremo. Potrebbe bastare la splendida copertina ad illustrare il contenuto di questo disco: una figura misteriosa, di cui non si vede il viso e che è completamente immersa nell’oscurità, intenta a suonare un violino, e sullo sfondo un campo illuminato dal sole, a simboleggiare l’accettazione della morte, vista come una melodia triste e bellissima. Allo stesso modo la loro musica vive sul contrasto tra una rabbia feroce e una dolcezza suadente: alle sfuriate death si contrappongono estese parti ambient, andando a comporre brani lunghissimi (cinquanta minuti di musica per soli tre pezzi), mai troppo complicati, con riff lenti fino all’esasperazione e ripetuti all’infinito. Questo alternarsi di bellezza e disperazione è la costante di tutto l’album e l’effetto è ipnotico e mesmerizzante. I testi, parte in inglese e parte in ungherese, sono incentrati su un’osservazione della mente umana e delle sue deviazioni: schizofrenia, depressione, collasso nervoso sono gli argomenti trattati, quasi da un punto di vista analitico; lo scopo, dichiarato dalla band stessa, è quello di stimolare l’ascoltatore, sia con la musica sia con le parole, a riflettere su questi problemi mentali e superarli, creando un’atmosfera rassicurante caratterizzata da armonie solari. Tra i brani, notevole “Neurotic Suffocation”, che parte con un riff ripetuto per diversi minuti quasi a creare un effetto psichedelico, contrappuntato da poche note di pianoforte in uno stridente contrasto che ricorda il Burzum di “Filosofem”, fino all’introduzione di una voce in un growl cavernoso e turbante; il tutto crea una tensione che sembra sul punto di esplodere ma poi si stempera in una pace al tempo stesso inquieta e rasserenante. Una sorta di ritorno alla luce dopo un viaggio all’inferno.