7.5
- Band: BIPOLAR DISORDER
- Durata: 00:50:43
- Disponibile dal: 17/10/2020
- Etichetta:
- DHS Records
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“Mysterious Pain” è il secondo album dei Bipolar Disorder nel giro di pochi mesi, dopo “Agony Of Melancholy” che era stato pubblicato solamente a giugno. Il leader Jøzsef Tøth questa volta è rimasto solo: al contrario del disco precedente qui non è più presente Gábor Sütő alla voce ma ci troviamo di fronte ad una one-man band, con l’artista ungherese, attivo anche con i deathsters Degragore, che si fa carico di suonare tutti gli strumenti e delle parti vocali, oltre che dell’aspetto compositivo. Non c’è neppure una vera etichetta a supportare l’uscita: DHS (la sigla sta per Degragore Home Studio) è in realtà il garage di Jøzsef stesso, e già questo dovrebbe far capire quanta sia la passione che tiene in piedi questo progetto, nonostante tutte le difficoltà incontrate. Musicalmente, non ci discostiamo molto da quanto già ascoltato nel recente passato: le coordinate sono sempre quelle di un death/doom funereo e con un cantato marcio e sulfureo, con le radici ben salde negli anni ’90, caratterizzato da una lentezza esasperante, un po’ come se i primi Katatonia trascinassero i loro pezzi all’infinito. I brani, infatti, come da tradizione sono solamente tre, per una durata che oltrepassa i cinquanta minuti e sono un continuo avvicendarsi di momenti ambient e sfuriate death. La grossa differenza rispetto all’album precedente è il concept: “Agony Of Melancholy” era una sorta di viaggio nell’animo umano dall’interno, allo scopo di analizzarne le deviazioni; “Mysterious Pain” è invece incentrato sul difficile rapporto con ciò che sta all’esterno, ossia la natura. Quest’ultima è vista come l’unica soluzione per ritrovare la propria serenità ed in questo senso l’album è la logica continuazione del suo predecessore: i mali dell’uomo possono essere risolti solamente immergendoci in ciò che ci circonda, questo è il messaggio attorno al quale ruota tutta l’opera e il ‘dolore misterioso’ del titolo è proprio la mancanza di questa connessione che crea stati di malessere. Ciascun brano contiene lunghe sezioni ambient caratterizzate da rumori che provengono dal mondo della natura stessa, come la pioggia che cade, il crepitare delle foglie, il vento che fischia o il frinire dei grilli, prima che le parti death abbiano il sopravvento; in questi momenti è frequente anche l’uso di strumenti quali il piano o il flauto tanto che, come già riscontrato per l’album precedente, le atmosfere e le tematiche trattate sono spesso vicine ad una sensibilità black metal, in particolare a quel filone per così dire ‘bucolico’ nato con “Filosofem”, dal quale vengono ripresi i suoni caotici e ripetitivi ma allo stesso tempo ipnotici. Probabilmente questa semplicità, ad un primo ascolto anche eccessiva, dipende da cause di forza maggiore (leggasi le defezioni nell’organico e la mancanza di un’incisione professionale) ma ciò conferisce a tutto l’insieme un’aura ancor più underground che, in un disco del genere, ha sicuramente un senso.