7.5
- Band: BIRDS OF PREY
- Durata: 00:41:46
- Disponibile dal: 28/01/2008
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Masterpiece
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
I Birds Of Prey tornano alla carica a testa bassa dopo avere esordito un anno e mezzo fa con l’incompiuto “Weight Of The Wound”. Anche per questo secondo lavoro i nostri non vanno troppo per il sottile e mettono insieme undici tracce pesanti, violente, grasse e trasudanti sudismo da tutti i pori. Giova innanzitutto ricordare che della band fanno parte grossi nomi quali Ben Hogg (Beaten Back To Pure), Erik Larson (Alabama Thunderpussy), Bo Leslie (The Last Van Zant), Summer Welch (Baroness) e Dave Witte (Municipal Waste e Burnt By The Sun tra gli altri). Con tali personaggi è lecito aspettarsi quantomeno un songwriting all’altezza della loro fama. Tutto sommato questo “Sulfur And Semen” ricorda parecchio l’esordio della band, pur essendo decisamente più vario e, in definitiva, migliore. Non stiamo ancora parlando di capolavoro, gli Alabama Thunderpussy e i Baroness sono ancora decisamente superiori, però finalmente le potenzialità dei singoli si amalgamo piuttosto bene dando vita ad un insieme pesantissimo e riducendo al minimo le parti poco riuscite. Le tracce si possono definire come una sorta di southern sludge metal molto affine alla pesantezza del death, quindi pochi fronzoli, pochissimi tecnicismi e assolutamente zero virtuosismi. I Birds of Prey riescono a costruire delle discrete trame quando premono sull’acceleratore, come nella maleducatissima “Mentoring The Mongoloids (Return To The Attic)”, ma possono diventare letali quando il ritmo cala e si impaluda, come dimostrano la sludgy “Murder The Homeless/Burn The Upper Class” o la mefitica “Where Black Lungs Don’t Breathe”, con in evidenza le chitarre di Larson e Leslie. L’unico difetto ancora chiaramente riscontrabile è la voce di Hogg, sempre monocorde e in semi growling, anche quando servirebbero delle tonalità pulite o tutt’al più imbastardite dal Southern Comfort. Detto una volta di più che titoli e testi delle tracce sono talmente politicamente scorretti da provocare un senso di godimento immediato, va infine menzionato, a mo’ di nota di costume, il look della band, fatto di barbe incolte e lunghissime, abbigliamento da falegname metallaro ed espressioni losche ed estremamente maschie (e maschiliste verrebbe da dire). In questo modo i fan dello sludge più corposo e vitale non avranno nulla da obiettare nemmeno a livello iconografico.