8.0
- Band: BISON B.C.
- Durata: 00:38:08
- Disponibile dal: 23/06/2017
- Etichetta:
- Pelagic Records
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Rabbia, malinconia, desolazione, stordimento, tranquillità, energia. Sensazioni, emozioni, stati d’animo. Prendete questo concentrato di semplice quanto complicata umanità, incastratela nella vostra testa e lasciate che colpisca ciascuno dei vostri centri nervosi. Vi incazzerete, piangerete, vi ‘impallerete’ ma crediamo, almeno per chi vi scrive, che alla fine di questo viaggio introspettivo vi sentirete più leggeri o quanto meno avrete una visione del mondo diversa da prima. Non più chiara, attenzione, diversa. Quello che abbiamo tra le mani, o meglio nelle orecchie, non è infatti la panacea di tutti i mali; trattasi di un dischetto di quaranta minuti adatto a tutti gli appassionati delle sonorità forti, distorte, energicamente complesse. Un tuffo all’interno del normalissimo disordine di ogni individuo che, nonostante le sue ragioni, le sue convinzioni, il suo sporadico delirio di onnipotenza e onniscienza, è ben conscio di essere un semplice quanto minuscolo puntino nell’universo; controllato, condizionato, intriso di preoccupazione. Un caos mentale che i Bison B.C. da Vancouver ci presentano alla perfezione grazie al loro quarto full-length “You Are Not The Ocean You Are The Patient”. Un titolo, non breve, che va a contrapporre la vastità, la maestosità, la capacità di abbracciare la luna come di accompagnare le onde, dell’oceano, alle incertezze e alle debolezze del singolo ‘paziente’. Con il loro sludge metal, condito da passaggi doom e stacchi groove, il quartetto canadese, dopo i primi due album rivelazione ed un terzo di assestamento, erano chiamati alla fatidica ‘prova del nove’ o, se non altro, a dimostrare che le idee erano ancora ben presenti e soprattutto lucide. Prova, alla luce di quanto prodotto, palesemente superata. Ma andiamo con ordine, anzi, con il disordine. La prima scossa emotiva arriva nell’immediato con la potentissima “Until The Earth Is Empty”. L’attacco è di quelli trascinanti in cui la sezione ritmica prende in mano fin da subito le redini dell’intero brano. Uno scuotimento che all’improvviso rallenta, e rallenta, appesantendosi a dismisura, prima che la voce rabbiosa del singer, guitarist nonché fondatore dei Bison B.C., James Farwell, spari sulla folla il primo capitolo di questo particolarissimo saggio umanistico. E quando l’andamento ciondolante sembra ormai essersi impossessato del pezzo, ecco che parte l’ultima e definitiva stoccata frenetica anticipando il silenzio finale. Una pace che non trova il benché minimo sollievo: la disturbante “Anti War” rintrona la testa dell’ascoltatore con ritmiche alternate e poi dirette fino all’urlo conclusivo ‘War Anti War’. Energia, come detto, rabbia, ma anche stordimento, appannamento: è l’instabile “Drunkard” a regalarci questa sensazione, in cui il basso del neo acquisto Shane Clark cerca di rendere meno barcollante una linea ‘melodica’ dai tratti volutamente slegata. A questo punto il cervello vai in reset, va in ‘pappa’: l’ipnosi di “Kenopsia” lo cattura e lo porta via con sé per poco più di quattro minuti; un viaggio metafisico al limite della sopportazione che tuttavia non si vuol abbandonare. Nemmeno il tempo di riprendersi che “Tantrum” ci coglie impreparati sbattendoci in un angolo, subissandoci d’insulti per lasciarci quindi intontiti prima di riprenderci a mazzate con rabbiose ‘bassate’ in testa. Il viaggio sta per terminare ma l’adrenalina è ancora ai massimi livelli. C’è bisogno comunque di respirare, di recuperare le forze e “Raiigin”, almeno inizialmente, sembra soddisfare l’impellente richiesta. In realtà la tregua dura solo un paio di minuti, giusto il tempo necessario per assestare l’ennesimo colpo furioso e globale. Con il precedente è il pezzo più heavy dell’intero lotto, e se il primo, a tratti, richiama antiche sonorità ‘panteriane’, quest’ultimo rimanda al periodo finale dei Sepultura vecchia scuola. Come spesso accade comunque, la ciliegina sulla torta, la summa di tutto, arriva al termine. E’ la barca dei Bison B.C. ad accompagnarci tra le acque infinite e maestose dell’oceano: lente ma sicure, inframmezzate solamente dalle nostre esitazioni, dai nostri tentennamenti; è qui che “Water Becomes Fire” perché noi non siamo l’oceano, siamo solo il paziente. Disco da ascoltare e riascoltare più volte!