7.0
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Tomi Koivusaari è un personaggio particolare, diremmo a doppia faccia. Il chitarrista finlandese, che ha legato la sua carriera artistica a quella della sua band-madre, gli Amorphis, è sia imprescindibile che di secondo piano, sia fondamentale che dimesso, il tutto probabilmente riconducibile ad un carattere non eccessivamente estroverso e ad un basso profilo naturale che, volenti o nolenti, gli si addice.
Se nei primissimi anni degli Amorphis, quelli del death metal più primitivo di “The Karelian Isthmus” e di “Tales From The Thousand Lakes”, oppure quelli in cui la band ha inserito le clean vocals di Pasi Koskinen (“Elegy”, 1996), prima della svolta più mainstream di “Tuonela”, Koivusaari era assoluto protagonista sia alla chitarra che soprattutto come growler, in seguito, con l’avvento di Tomi Joutsen alla voce e con la composizione dei brani sempre più affidata all’altro storico chitarrista Esa Holopainen e al tastierista Santeri Kallio, il ruolo del Nostro è via via diventato più marginale, certificato da un ben visibile poco trasporto anche in sede live, si voglia per il già citato carattere introverso, si voglia per un reale appagamento come musicista compositore.
Sorprende non poco, quindi, trovarsi proprio Tomi l’Introverso super-protagonista di un solo-project che, oltre a vederlo autore completo delle musiche, lo presenta pure bello fresco fresco e mezzo nudo in mezzo ai fiori sulla copertina del debutto dei suoi Bjørkø, che in finlandese suona un po’ come ‘l’Isola delle Betulle’. Insomma, tra paradosso e controsenso, ci siamo approcciati molto incuriositi al lavoro solista di un artista che, tutto sommato, abbiamo ben incastonato nel cuore.
Anche il titolo, a ben vedere, sorprende non poco, se poi si va subito a scorrere sulla lista di ospiti che riempiono il posto di vocalist su “Heartrot”. Ecco, “Heartrot” richiama immediatamente “Heartwork” dei Carcass e chi sarà mai il primo special guest dei Bjørkø? Esatto, Jeff Walker dei Carcass! Tomi, Tomi, sei una sorpresa dietro l’altra, nulla da dire. Sì, perchè se l’appeal di un disco solista di Koivusaari poteva risultare sia interessante sia anonimo, con la collezione di ospiti e musicisti che hanno contribuito al lavoro, di certo un’ascoltata interessata viene da dargliela: Lauri Porra degli Stratovarius al basso, Waltteri Väyrynen degli Opeth (ex Paradise Lost, ex Vallenfyre) alla batteria, Janne Lounatvuori dei semisconosciuti Hidria Spacefolk alle tastiere; e poi una sequela di nomi al microfono niente male: oltre a Walker, troviamo Shagrath dei Dimmu Borgir, Marco Hietala ex Nightwish, Adalbjorn Tryggvason dei Solstafir, un paio di nomi noti prevalentemente in patria (il sessantatreenne Ismo Alanko, la rapper Mariska, Jessi Frey dei Velcra) e poi ovviamente l’amico Tomi Joutsen ed il sassofonista Sakari Kukko, spesso visto ospite proprio presso gli Amorphis. E’ una miscela che, diciamola com’è, avrebbe potuto essere esplosiva oppure davvero troppo eterogenea per essere convincente; la realtà, ovviamente, si posiziona a metà strada di queste due ipotesi.
Koivusaari ha composto i brani di “Heartrot” in maniera intelligente e furba allo stesso tempo, plasmandoli, non sappiamo se prima o dopo aver scelto i cantanti, proprio attorno alla voce e alle esperienze individuali dei singoli ospiti. Facile immaginare, dunque, come il brano in cui presta la voce Tomi Joutsen, intitolato “Hooks In The Sky”, sia quello più vicino all’attuale sound degli Amorphis, oppure le canzoni in cui si cimentano Shagrath e Jeff Walker siano le due più ‘spinte’ ed aggressive: “The Heartroot Rots” addirittura presenta un afflato progressivo nella seconda parte, ma di quel progressive estremo di cui i Carcass hanno dato prova di forza di recente; mentre “World As Fire And Hallucination”, oltre a scimmiottare i Dimmu Borgir proprio nella tipologia di titolo, è tellurica, dinamica ed affilata come un rasoio, ben mostrante come Koivusaari sia un musicista eclettico e voglioso di mostrare proprio questo suo camaleontismo compositivo.
La tracklist si muove quindi agile in modo quasi identico tra prima parte e seconda parte: la traccia 1 e la 6 sono, come appena spiegato, le più violente, mentre al contrario la 5 e la 10 – le strumentali “Awakening” e “Reverberations” – chiudono le due metà con brevi paesaggi psichedelici, il primo plasmato solo da Tomi alla chitarra, il secondo con l’aiuto degli eleganti fiati di Sakari Kukko. Nel mezzo di questi doppi estremi, ecco le altre sei tracce altalenare tra vari stili di heavy metal, condizionati dalla presenza dei cantanti e dalla loro diversa estrazione, partendo dal particolarissimo tono vocale di ‘Addi’ Tryggvason dei Solstafir per la space-folk-rock oriented “Vaka Loka” (un titolo a metà strada tra Ricky Martin e i Korpiklaani), passando per la piacevole interpretazione di Jessi Frey in “The Trickster”, per concludere infine con la riuscita semiballata “Magenta”, a cui dà voce in modo sentito la rapper finlandese Mariska. Forse non convince appieno solo il brano “Whitebone Wind”, in cui Marco Hietala e Petronella Nettermalm si intersecano anche benino ma su una struttura fin troppo debitrice di uno strano incontro tra il power finnico e gli Amorphis epoca “Am Universum”/”Far From The Sun”.
Tirando rapidamente le somme di questo “Heartrot”, possiamo semplicemente dire che si tratta di un lavoro piuttosto divertente da ascoltare, con qualche elevato picco qualitativo ed una diversità di base che ne rende difficile una corretta inquadratura. Sicuramente i fan degli Amorphis sono indicati per un disco di tale fattura, che può incuriosire un po’ tutti, vero, ma far innamorare sul serio solo i super-aficionado di Tomi e compagnia nordica. Sette meritato, vedremo se i Bjørkø avranno un seguito o moriranno qui.