7.5
- Band: BLACK CURSE
- Durata: 00:38:20
- Disponibile dal: 01/04/2020
- Etichetta:
- Sepulchral Voice
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All’esordio sull’etichetta di culto Sepulchral Voice – dopo essersi fatti vedere in uno show-lampo nel corso dell’ultimo Kill-Town Death Fest – i Black Curse strisciano fuori dal sempre più florido underground estremo statunitense per conquistare il loro posto sul palco (già generosamente affollato) della scena death-black mondiale. I quattro possono tutti vantare esperienze in band ormai più che affermate come Spectral Voice, Blood Incantation, Primitive Man e Khemmis, ma in questa sede si parte da zero e si opta per un sound ben più crudo e blasfemo di quello al quale le suddette formazioni possono essere ricollegate. “Endless Wound” punta esclusivamente su atmosfere funeste e prende le mosse dalla ferocia di gente come Necrovore, Lvcifyre, Pseudogod e Vorum, in un tripudio di chitarre impazzite, melodie luciferine e una batteria a volte più percossa che suonata. Niente di davvero nuovo sotto il sole, ma una cosa salta subito all’occhio: nel disco manca quasi totalmente la componente incosciente tipica dei debut album, a favore invece di una produzione azzeccatissima e di un’esecuzione matura e impeccabile. Galeotta sicuramente è la succitata grande esperienza dei musicisti coinvolti, che fa emergere dai solchi del disco una consapevolezza e un carisma inconfutabili. Pur spingendo sull’acceleratore in un modo completamente diverso da quanto sono soliti fare i gruppi principali dei ragazzi, “Endless Wound” si fa strada con un certo raziocinio, fondendo spunti death, black e thrash in brani dalle strutture ben definite, caratterizzati sia nell’interpretazione che nella durata. L’album non è per i deboli di cuore, né per gli amanti del metal estremo impregnato di tecnica ed eleganza: guidati dal degenerato screaming del chitarrista/cantante Eli Wendler (batterista/cantante degli Spectral Voice), episodi come “Charnel Rift”, la titletrack e “Finality I Behold” non mettono a proprio agio, spiazzano nei loro nefasti cambi di tempo e non lasciano speranza di uscire dalle tenebre viscerali di cui si fanno portavoce. Si tratta di un lavoro genuinamente brutale, che però evita di risultare scarno o sbrigativo; aderisce attentamente ai dettami di un determinato sottogenere, tuttavia appare completo in ogni suo dettaglio, sufficientemente conciso e senza dubbio catartico, tanto per i suoi autori quanto per chi è chiamato all’ascolto. Qui facciamo conoscenza con l’anima nera degli autori di “Eroded Corridors of Unbeing” e “Hidden History of the Human Race”.