7.5
- Band: BLACK INSIDE
- Durata: 00:54:23
- Disponibile dal: 29/06/2015
- Etichetta:
- Red Cat Records
- Distributore: Audioglobe
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Già dall’apertura del disco i Black Inside ci dimostrano una svolta stilistica impressa al loro sound che da classico ha virato in modo nettissimo sull’epic doom con evidenti rimandi sabbathiani. Non è solo lo stile a cambiare, però: tutta la musica dei cinque napoletani si è fatta più cupa sia nei toni che nei contenuti (tanto che l’opener ha già nel titolo rimandi classici se non addirittura filosofici). Così come la successiva “The Siege Of Jerusalem” che ha evidenti riferimenti storici e che ci dimostra, ancora una volta, la voce talentuosa di Luigi Martino ben coadiuvata da Brian e Eddie alle chitarre che, proprio verso la metà di questo pezzo, si cimentano in quello che ci pare un chiaro tributo a niente meno che Mark Knopfler. Insomma: avevamo già visto con l’ottimo “The Weigher Of Souls” che la band aveva enormi potenzialità e con questo “A Possession Story” non possiamo che confermare la nostra impressione. Anzi, le potenzialità qua sono espresse in modo molto più netto anche se con un’evoluzione che non ci saremmo aspettati. Tutto ciò è ben evidente in “Black Inside” che, tra doom ed influenze maideniane, mette bene in evidenza uno stile ormai maturo e decisamente personale, formato da un inedito mix tra doom e NWOBHM, il tutto in chiave assolutamente moderna. La capacità di comporre riff è incredibile: l’apertura di “King Of The Moon” ne è un esempio evidente: immaginatevi gli Iron Maiden che incontrano i Candlemass, tutto con una chiara ispirazione di rock seventies e eighties (proprio “King Of The Moon” ricorda molto “Ticket To The Moon” degli ELO). Un altro episodio notevole è la title track “A Possession Story”, dove i Black Inside ci mostrano il loro lato più cupo ed inquietante, con citazioni che ancora si sprecano (dagli Angel Witch ai Mercyful Fate) e delle accelerazioni tipiche della scuola britannica più classica, oppure “Foresaking Song”, retta quasi esclusivamente dalla voce di Luigi (accompagnato da vocals femminili), bellissima e struggente. Una menzione la merita anche la conclusiva “Pharmassacre” in cui la band ritrova un po’ di quello spirito “grezzo” (in senso positivo) presente nel lavoro precedente. Ci capita spesso di ascoltare band italiane (e non solo) dalle ottime potenzialità; potenzialità che spesso, purtroppo, non riescono a trovare un modo di esprimersi o di convogliarsi in uno stile personale che permetta loro di staccarsi dalle influenze che è normale siano presenti nei dischi di debutto. I Black Inside ce l’hanno fatta e sono ora più maturi e più interessanti, forse meno “facili” ma sicuramente molto più personali. Questo “A Possession Story” non è certo un punto d’arrivo, perché un lavoro come questo non può che alzare l’asticella e portarci ad attendere con ansia il prossimo lavoro della band.