8.0
- Band: BLACK MAGICK SS
- Durata: 00:30:49
- Disponibile dal: 30/04/2020
- Etichetta:
- Creep Purple Promotion
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
I Black Magick SS sono tra le band più chiacchierate del momento e al contempo tra le più misteriose in assoluto. Degli australiani si sa poco o nulla, dato che non hanno alcun interesse a diffondere informazioni di alcun genere, nemmeno all’interno dei booklet dei loro (quasi irreperibili) lavori. Non stiamo parlando di trite e tristi strategie di marketing: niente foto incappucciati da postare su profili social creati magari prima di aver inciso anche una solo demo, infatti non esiste alcuna pagina ufficiale legata direttamente al gruppo. Tutto il carrozzone comunicativo ormai indissolubilmente legato all’uscita di un disco è non solo snobbato, ma in pratica boicottato da una formazione che è ben contenta di rimanere nell’underground più profondo, luogo metafisico libero per definizione da qualsiasi condizionamento intellettuale, politico e musicale.
Questo non si traduce però in sciatteria estetica, tutt’altro: l’immaginario, anche visivo, della band australiana è vivido e ben definito, composto dalla fusione tra una simbologia che si rifà in modo inequivocabile al nazismo di stampo esoterico e la visionarietà degli anni ’60 e ’70. Colori acidi, arcobaleni, Totenkopf e svastiche, questa la sintesi più estrema e chiaramente riduttiva dei Black Magick SS, creatura mitologica totalmente unica nel proprio genere benché già copiatissima (vedi i pur buoni Edelweiss e Assassination). Musicalmente gli elementi che trovano una quadra sulla carta impossibile sono lo psych rock dell’epoca dei figli dei fiori e il metal, declinato in senso prevalentemente classico pensando alla chitarra e black metal se guardiamo alle harsh vocals e alla produzione assolutamente cruda che caratterizza tutti i lavori del gruppo.
Non riuscite ad immaginare come The Doors, Iron Butterfly e The 13th Floor Elevator possano sposarsi perfettamente coi Beherit? Lo capiamo, e sappiamo che sarà così finché non darete un ascolto. Rispetto ai lavori precedenti, e in particolare al capolavoro “Kaleidoscope Dreams”, quest’ultimo disco sposta l’ago della bilancia dalla psichedelia anni ’60 e primi ’70 e dalle sonorità proto-punk del garage che da sempre ne caratterizzano il sound in maniera propulsiva, per avventurarsi più avanti tra le sonorità di fine anni ‘70 e approdare agli anni ’80. Questo risulta evidente sin dalle prime note di “Endless Hallucinations”, apripista perfetto nel quale l’hammond si fonde con tastiere e ritmiche che si rifanno ora anche ai Blue Oyster Cult (pensiamo a “Fire Of Unknown Origin”) e addirittura al pomp-rock di Van Halen, il tutto pensato e suonato in un’ottica 100% Black Magick SS. Con la titletrack – altro pezzo riuscitissimo – la velocità aumenta ma la carica catchy e il feeling epico restano intatti. Segnaliamo l’ottimo intreccio di harsh vocals catacombali e voci pulite, alte tanto da essere vicine al falsetto, che creano un contrasto perfetto; la sezione ritmica qui è quanto di più new wave si possa immaginare e, quasi incredibilmente, il risultato è travolgente. Si evidenzia un ammorbidimento della produzione, che è più pulita (sempre con le dovute proporzioni) e adatta al mutamento di influenze del sound. Ma attenzione perché le sorprese non sono affatto terminate. “Get Out” porta all’estremo le contaminazioni dark wave e synth pop: Bauhaus e Joy Division incontrano Tears For Fears e Bronsky Beat creando un mix danzereccio dall’altissimo potenziale nostalgico. Ritmo martellante e melodia pop vi porteranno a cantare un ritornello perfetto (come quasi sempre quando parliamo di questa band) e a scoprire ulteriori sfumature di questo arcobaleno acido. Vi siete persi? La successiva “Kali” vi riporterà su sentieri più familiari ma non affezionavi troppo perché nel regno dei Black Magick SS tutto è possibile, esattamente come in quello del capriccioso Re dei Goblin con il suo labirinto ingannatore popolato da strane e non sempre amichevoli creature. E così ci ritroviamo alla ballata lisergica “Mothers Lullaby” nella quale fa la sua comparsa un sintetizzatore vocale che crea un risultato simile alla tanto abusata modalità autotune. L’effetto è robotico e vicino ai Daft Punk, quindi completamente straniante ai primi ascolti, ma ormai dovrebbe essere chiaro che gli australiani non si pongono limiti (e l’effetto è un po’ quello degli inserimenti trap negli ultimi Peste Noire ). “The Truth” chiude in bellezza una mezz’ora di musica oltremodo caleidoscopica tornando per così dire all’ovile, quasi in ciclica continuità con l’opener “Endless Hallucinations”.
Le novità ci sono e forse occorre qualche ascolto in più per digerirle e assimilarle ma sarebbe sbagliatissimo gridare alla commercializzazione, i Nostri sono sempre quelli che scrivevano only analogue is real sulle loro cassette, nonostante la botta di attenzione mediatica che stanno ricevendo ultimamente, alla quale – ne siamo abbastanza certi – sono del tutto indifferenti. Per concludere, nei Black Magick SS potreste trovare mille ragioni per amarli follemente e altrettante per detestarli, noi chiaramente ci collochiamo nella prima fazione, a voi la scelta.