6.0
- Band: BLACK MAJESTY
- Durata: 00:44:09
- Disponibile dal: 20/07/2012
- Etichetta:
- LMP
- Distributore: Audioglobe
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Nel recensire “Stargazer” degli australiani Black Majesty ci manterremo aderenti al discorso che già abbiamo fatto diverse volte relativamente agli album-fotocopia che spesso invadono le scene metal. Pochi, infatti, sono gli album che, pur non avendo nemmeno una nota di innovazione nel loro spartito, riescono a convincerci con la qualità delle canzoni al punto da ottenere un voto elevato (ricordiamo le uscite di Instanzia e Xandria, ma pochi altri…); la maggior parte degli album composti dalle band clone finiscono per ambire al sei politico, che indica un prodotto che segue tutti i crismi di un genere ben definito senza rischiare nulla di nuovo, e che quindi finirà logicamente per interessare solo una fetta ridotta di fan. Tutto il preambolo ci dice che questo è proprio il caso dei Black Majesty, gruppo appunto proveniente dalla terra dei canguri e che giunge al quinto album con un prodotto che più europeo non si può. Editi dalla Limb Music, prodotti e registrati da Roland Grapow (ex Helloween, Masterplan) ed importati già da tempo qui nel Vecchio Continente grazie ai tour a supporto di Helloween, Edguy e Saxon, i Black Majesty sembrerebbero quasi una band tedesca o finlandese, tanto il loro power metal è in linea con la musica prodotta dai nomi citati. Se ad Helloween (poco) e Masterplan (di più, specie negli arrangiamenti) aggiungiamo poi una massiccissima dose di Stratovarius e un piccolo tocco di metal sinfonico alla Nightwish (le tastiere sono molto presenti), otteniamo il composto finale, un mix purtroppo non esaltantissimo, ma di sicura buona fattura, di tutte queste sonorità che vivevano la propria era d’oro negli anni ’90, e che adesso stagnano nelle tranquille acque di un lago che a poco a poco si sta prosciugando. Non vogliamo quindi dire che “Stargazer” sia brutto, ma vogliamo solo dire che, oltre all’innegabile difetto della mancanza di originalità nel sound, questo disco risulta anche anacronistico rispetto ai tempi moderni. Non è colpa dei suoni scelti dalla band o dal povero Roland Grapow in regia: in “Stargazer” è proprio il pentagramma a risultare perdente alla prova del tempo: ancorato a stili e sonorità che hanno da un decennio lasciato le scene, diventa un (seppur buono) disco nostalgico che vuole richiamare i fasti di un tempo senza averne le reali capacità. E dire che di passi in avanti rispetto agli scialbi predecessori ne sono stati fatti: gli arrangiamenti sono migliorati, le tastiere si amalgamano meglio con i vari pezzi, al punto da farci scrivere di metal sinfonico e non solo di power metal, e anche la voce di John Cavaliere, che già da tempo si era dimostrato l’unico vero punto interessante della band, risulta un po’ più varia rispetto ai dischi precedenti. Ma ciò non basta a raddrizzare le sorti di un songwriting che risulta ancora troppo ancorato al passato e troppo simile a se stesso per colpire davvero l’attenzione della gente; questo fa sì che il risultato rimanga appunto un disco destinato ai die hard fan del genere. Citiamo, ad onor di cronaca, alcuni buoni momenti, tra cui la più complessa title-track, che con qualche scelta un po’ inaspettata riesce perlomeno in parte a stupirci; le veloci ‘Killing Hand’ e ‘Lost Highway’, che con i loro ritmi elevatissimi ci fanno almeno battere il piede sotto il tavolo. Il resto è solo power teutonico come ce lo aspetteremmo, con ritmi sempre uguali, voce altissima e tastiere onnipresenti. Fatevi i vostri conti, prima di acquistarlo.