7.5
- Band: BLACK MOTH
- Durata: 00:45:11
- Disponibile dal: 23/02/2018
- Etichetta:
- Candlelight
- Distributore: Audioglobe
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Terza prova in studio per gli inglesi Black Moth, formazione nata nel 2010 che, in principio, si cimentava in un garage rock ispirato agli Stooges con influenze sabbathiane. Con il passaggio alla Candlelight Records la band punta al definitivo salto di qualità, realizzando il suo album più pesante ma, allo stesso tempo, più melodico e coinvolgente. Sicuramente il merito è anche dell’ultimo ingresso in formazione, la chitarrista italiana Federica Gialanzè, che ha dato una marcia in più all’intera opera. Il suo riffing metallico e pastoso crea un muro sonoro cupo e denso, che avvinghia e avvolge l’ascoltatore. Su questa massa scura si inserisce in maniera eccellente la voce di Harriet Hyde, che non opta per uno stile plateale ed enfatico, ma gioca sull’interpretazione, risultando energica e suadente al tempo stesso. I Black Moth sono una band dove la componente femminile è molto importante ma, al contrario di molte formazioni simili, cercano di fuggire dagli stereotipi che ancora oggi affossano tante cosiddette ‘female fronted band’. Avere una cantante può essere un segno distintivo, ma non deve trasformarsi nell’unica caratteristica della band: insomma, ‘il genere non è un genere’, come sottolineano questi eccellenti artisti. Ecco, dunque, che la femminilità dei Black Moth rimane sempre presente, come è giusto che sia, ma senza essere urlata o platealmente esibita. È la femminilità più misteriosa e per questo più affascinante di un universo non facile da capire, che necessita di essere svelato, come il macabro feticcio posto in bella vista in copertina. Si tratta di un modello di cera di una testa di donna usato nella medicina del Diciottesimo secolo per gli studi di anatomia. Un volto così imperscrutabile per il mondo patriarcale da dover essere sezionato, strato dopo strato, per provare a svelarne l’essenza. Musicalmente “Anatomical Venus” si muove nel territorio polveroso dello stoner, con chitarre fangose che possono far felici i fan dei Kyuss come quelli dei Black Sabbath. La voce di Harriet ricorda un po’ PJ Harvey e mantiene quella trama garage rock degli inizi. Assolutamente degna di nota, poi, la gestione dell’intreccio tra chitarre, sezione ritmica e voce, che non prevalgono l’una sull’altra, ma al contrario si intersecano come una fune, creando un’entità unica molto più forte e solida, in cui i vari elementi si sostengono e rafforzano. Ottima la selezione di canzoni, che parte dalla splendida “Istra”, esempio perfetto di quanto descritto finora, ma che svela man mano colori e sfumature: passaggi più obliqui e sinuosi fanno capolino in “Buried Hoards”; “Severed Grace” ci ammalia con un ritornello stregonesco; “A Lover’s Hate” colpisce allo stomaco come un pugno; mentre “Scream Queen” rispolvera quell’attitudine rock a cui facevamo riferimento poco fa. Nonostante l’appeal melodico, “Anatomical Venus” non è un disco immediato, ma lo diciamo in senso positivo: il piacere dell’ascolto cresce nel tempo, mentre scopriamo tra le note i messaggi e le chiavi di lettura per comprendere al meglio il lavoro dei Black Moth. Una volta rivelatosi, però, l’album mostra le sue perle e dimostra pienamente la maturazione raggiunta dalla formazione inglese.