9.5
- Band: BLACK SABBATH
- Durata: 00:38:07
- Disponibile dal: 13/02/1970
- Etichetta:
- Vertigo
- Distributore: Warner Bros
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Ha un qualcosa di poetico pensare come una delle prime espressioni di quel sound che verrà chiamato in tutto il mondo heavy metal si debba in parte ad un incidente con una grossa pressa metallica industriale. Siamo alla fine del 1965 e il chitarrista Tony Iommi, durante il suo lavoro in fabbrica, si ritrova con la punta di due dita della mano destra tranciate via dal macchinario che serve a piegare le lastre. Per lui, mancino, questo sembra significare la fine dei sogni di musicista. Dobbiamo forse ringraziare il direttore della sua fabbrica che, andando a trovarlo dopo l’incidente, gli fa ascoltare un disco di Django Reinhardt, leggendario chitarrista jazz con una menomazione che lo obbliga a suonare con solo due dita. Iommi capisce che la porta per lui non è chiusa, deve solo trovare una strada diversa. Si costruisce dei piccoli ditali-protesi per riuscire comunque a premere sulle corde della chitarra, ma il dolore è comunque elevato. Per attutirlo, Tony cerca di usare le corde più sottili sul mercato, quelle del banjo, e si ritrova costretto ad abbassare l’accordatura, sia per venire incontro al nuovo set di corde, ma soprattutto perché questa accordatura lascia le corde meno tese, rendendo più facile la pressione da parte delle dita martoriate. Il risultato è un suono più cupo e pesante che, unito al volume fragoroso, porta una giovane band dal sinistro nome di Black Sabbath nella leggenda del rock duro.
Non è solo la musica ad essere plumbea e oscura nella band di Iommi, anche i testi e le tematiche trattate si adeguano perfettamente all’atmosfera. D’altra parte Aston, il quartiere di Birmingham da cui proviene la band, non è esattamente il sogno della California e della ‘Summer of love’: il futuro dei giovani è quello di una vita da operaio, tra una pinta al pub e qualche rissa da strada. Così il chitarrista Tony Iommi, il bassista Terry ‘Geezer’ Butler, il batterista Bill Ward e il cantante Ozzy Osbourne si ritrovano a cercare una via diversa, suonando e suonando senza sosta, nella speranza di farcela. Con un budget di sole cinquecento sterline e due soli giorni per registrare il tutto, i Black Sabbath entrano in studio per dare vita al loro debutto. Sembra assurdo, pensando alle megaproduzioni degli anni a venire, ma parliamo di una band che ha passato mesi e mesi a suonare quelle canzoni sui palchi più disparati: il materiale è rodato, la band lo conosce come le sue tasche e non resta che registrarlo in studio come se fosse un concerto dal vivo. Il risultato è un master che, grazie alla perseveranza del manager Jim Simpson, finisce nelle mani della Vertigo, che offre un contratto ai Black Sabbath.
Come strategia di marketing, l’etichetta ammanta il primo disco di Iommi e soci di un’aura satanica, scegliendo una copertina sinistra e mandando in giro comunicati su fantomatiche messe nere ed evocazioni demoniache. Tutte sciocchezze a cui la band non crede, ma basta far partire il disco perché diventi lampante il motivo di questa scelta. Il brano di apertura, “Black Sabbath”, è ancora oggi una delle cose più oscure e spaventose partorite in ambito rock: lo scrosciare della pioggia, una campana funebre e poi quelle tre note così sulfuree e minacciose da essersi guadagnate nel corso dei secoli l’appellativo di ‘diabolus in musica’. Ozzy strascica parole di terrore e quel ‘oh no, please, God, help me’ mette i brividi dopo quasi cinquant’anni dalla sua incisione. L’accelerazione conclusiva mette il sigillo su una canzone semplicemente perfetta in ogni suo frammento. Tutta la prima facciata del disco, in realtà, è totalmente priva di difetti: “The Wizard” mostra un’energia hendrixiana invidiabile; “Behind The Wall Of Sleep”, convince alla perfezione con quel suo dialogo tra il cantato di Ozzy e il riffing di Iommi; mentre “N.I.B.” si afferma tra i classici senza tempo con quel basso viscerale e il suo incedere potentissimo. Leggermente inferiore il lato B dell’album (ma si parla ovviamente di eccellenza), soprattutto per la sempliciotta “Evil Woman”, brano già pubblicato l’anno prima da una band di Minneapolis, i Crow, e scelta dall’etichetta come singolo. Interessantissima invece la lunga “Warning” che, con i suoi dieci minuti di durata, mette in mostra la qualità di Iommi come chitarrista e la capacità del gruppo di improvvisare (la versione originale durava quasi il doppio, ma viene tagliata in fase di montaggio per ovvi motivi di spazio!).
Ci sono diverse interpretazioni sul fatto che questo possa considerarsi o meno il primo disco heavy metal della storia e, francamente, poco ci importa. Ciò che è certo è che, assieme al debutto dei Led Zeppelin, “Black Sabbath” ha segnato una svolta epocale nella storia della musica pesante, spianando la strada a migliaia di band a venire e aprendo nuovi orizzonti a legioni di ascoltatori che, dal lontano 1970 ad oggi, non saranno più gli stessi.