9.5
- Band: BLACK SABBATH
- Durata: 00:34:27
- Disponibile dal: 21/07/1971
- Etichetta:
- Vertigo
- Distributore: Warner Bros
Spotify:
Apple Music:
È passato appena un anno dal debutto deflagrante dei Sabbath, eppure la band si accinge, nel febbraio del 1971, a rientrare in studio per registrare il terzo disco. Un tour de force incredibile che, però, non è poi così inusuale nella frenetica discografia degli anni Settanta. Quello che lascia esterrefatti, invece, è la qualità incredibile dei lavori pubblicati da Iommi e soci che, nonostante la routine massacrante fatta di concerti, festival e dischi in studio, non sembra affievolirsi. I Black Sabbath si ritrovano, dunque, a porre il sigillo sulla loro nuova fatica e, ancora una volta, danno vita ad un album viscerale, scandito dai riff essenziali e diretti di Tony, così diversi dalle divagazioni arzigogolate di tanti colleghi, anche illustri. La musica dei Black Sabbath è oscura, pesante e cattiva come quella di nessun altro e il pubblico sembra avere bisogno esattamente di questo.
Il risultato di queste nuove sessioni di registrazioni è un disco variegato, in cui la band inizia a sperimentare cose diverse, cercando una formula che permetta loro di dare un degno successore a quel capolavoro di “Paranoid”. Il primo brano, “Sweet Leaf”, è selvaggio e diretto, con uno stacco centrale semplicemente superbo, con un Bill Ward imbizzarrito e Tony Iommi ad imperversare con la sua chitarra. Il testo, come è noto, non è altro che un’ode accorata alla marijuana, che si apre molto opportunamente con un colpo di tosse di Tony, causato da un tiro particolarmente intenso. “After Forever” prosegue con una struttura articolata e complessa che, però, non perde un grammo di energia, alternando una linea melodica diretta ed efficace al martellante pulsare di basso e chitarra. Uno dei vertici dell’intera carriera dei Sabbath viene toccato con il pezzo successivo, “Children Of The Grave”: una cavalcata metallica che squarcia e graffia, inarrestabile e cupa. In questo brano (come in “Lord Of This World” ed “Into The Void”) Iommi abbassa ulteriormente l’accordatura, creando un vero e proprio muro sonoro, cupo e plumbeo, che sposterà l’asticella del termine ‘heavy’. D’altra parte “Master Of Reality” può vantare un’influenza notevolissima sulle generazioni a venire: centinaia di band doom metal di oggi sono cresciute ascoltando “Into The Void”, con quella sua capacità di essere apocalittica, maestosa, pachidermica, e al tempo stesso dinamica e sfaccettata. E quante formazioni stoner venderebbero l’anima al diavolo pur di avere in repertorio un gioiello come “Lord Of This World”? Completano l’album un paio di brevi strumentali, “Embryo” e “Orchid”, che servono a bilanciare la pesantezza dell’album con momenti più delicati ed atmosferici, e una struggente e disperata ballad, intitolata “Solitude”. Quest’ultima, nello specifico, permette al gruppo di sperimentare, con Iommi che si concede qualche incursione alle tastiere e perfino al flauto, quasi una reminiscenza della sua breve permanenza nei Jethro Tull. Terzo disco, terzo capolavoro: la strada imboccata dai Black Sabbath è ancora lastricata d’oro e sembra proprio che nessuno possa fermarli.