6.0
- Band: BLACK SITES
- Durata: 00:46:30
- Disponibile dal: 17/02/2017
- Etichetta:
- Mascot Records
- Distributore: Edel
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Avrebbe senso valutare un album ascoltando solamente gli intro dei pezzi che lo compongono? No, vero? Peccato, perché se così fosse, l’esordio dei Black Sites meriterebbe una citazione degna di nota. Ed invece “In Monochrome”, rimarrà solo un primo lavoro sufficiente, condito purtroppo da più di un rimpianto per ciò che poteva essere, ma non è stato. Andiamo con ordine: chi sono innanzitutto questi Black Sites? La band prende vita nel 2015 in quel di Chicago, quando un certo Mark Sugar chiude definitivamente, dopo tre album pubblicati, il suo progetto thrash/metalcore chiamato Trials, per creare un qualcosa che richiamasse il metal più classico ma che contenesse nello stesso tempo anche spunti più moderni in chiave prog e hard rock. Ma non solo: per dare un taglio netto con il passato, l’artista americano decise di ammorbidire e quindi pulire il suo stile vocale così da marchiare ulteriormente la nuova strada intrapresa. Almeno questi erano i suoi intenti. Il risultato, come detto, è un debutto dai risvolti altalenanti. Se da una parte abbiamo una sezione ritmica davvero notevole – da applausi la prestazione globale di Chris Avgerin alla batteria – altrettanto non si può dire del rendimento al microfono dello stesso Sugar. Quando un brano sembra, infatti, aver ormai preso una sua ben chiara connotazione, ecco che la voce del singer di Chicago, oltre a rivoltare spesso e volentieri il ritmo fino a quel punto sostenuto, porta lo stesso a risultare se non uguale quanto meno simile a quelli ascoltati in precedenza. E la dimostrazione l’abbiamo fin da subito. Al termine dell’intro soft che apre l’album, “Dead Languages” parte con la scossa, aggiungendo una buone dose di groove al riff portante e ai ritmi non eccessivi ma puntuali di Avgerin. E fin qui tutto bene. Il problema è che il gioco si ripete nella title track: cambia l’intro, cambia il riff, cambiano i ritmi, ma il timbro di Sugar rimane tale, dando quindi all’ascoltatore quella sensazione di ‘già sentito’ che lo porta al classico skip sullo stereo. E lo stesso accade in “Watching You Fall”: a tratti ‘cantilenoso’, è sicuramente il pezzo più debole dei nove presenti. Ovvio, nessuno pretende che un cantante cambi voce ad ogni brano; è suo dovere comunque interpretare al meglio la singola canzone. E in “In Monochrome” questo non avviene. Quasi a voler rispecchiare in toto il titolo dell’album, sembra che una certa dose monocromatica permei lungo quasi tutti i quarantasei minuti offerti dai Black Sites. Vi sono fortunatamente alcuni spunti che si distaccano da questa linea predominante ed avviene quando il nostro leader torna paradossalmente ad inserire stacchi più thrash. “Burning Away The Day” prima e soprattutto “Locked Up – Shut Down” alzano infatti l’asticella della cattiveria e della qualità, richiamando in quest’ultima anche un riffino alla “Over The Mountain” del vecchio MadMan. Sopra la media infine anche “Hunter Gatherer”: pezzo più introspettivo che, dopo una parte in acustico, apre le porte ad un refrain più melodico che rimanda ai momenti maggiormente cadenzati dei Volbeat. Riassumendo: i Black Sites hanno tutti i mezzi per portare un pizzico di varietà in più all'”In Monochrome” odierno, a partire dallo stesso fondatore. Per cui Mark Sugar, prendi spunto dagli intro e lasciati andare, forza!