7.5
- Band: BLACK STONE CHERRY
- Durata: 00:39:51
- Disponibile dal: 29/09/2023
- Etichetta:
- Mascot Records
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“Black Stone Cherry” (2006) e “Folklore and Superstition” (2008) sono stati una partenza folgorante per i Black Stone Cherry, due dischi che rivalutati in prospettiva hanno portato il quartetto nel giro che conta e che hanno imposto il suono e lo stile del gruppo nella coscienza collettiva. Negli anni la band è riuscita a mantenere status, qualità e reputazione senza annacquare il proprio sound in facilonerie radiofoniche, continuando a rappresentare spirito e valori del Kentucky in quel mix intrigante di Lynyrd Skynyrd e Daughtry.
Per dar vita a “Screaming At The Sky” i BSC si sono tolti lo sfizio di noleggiare un locale storico dall’acustica incredibile (il Plaza Theater, costruito nel 1934), all’interno del quale la band ha effettuato gran parte delle registrazioni insieme all’ingegnere del suono Jordan Westfall: il risultato si sente tanto per la resa sonora quanto per le vibrazioni, che restituiscono una delle migliori versioni di sempre della band.
Ascoltando il disco non troviamo un vero e proprio cambio di attitudine, ma si notano comunque dei margini più spigolosi, anche se sempre incanalati in maniera fluida e rassicurante all’interno del trademark sonoro, che spostano i riff post-grunge, southern rock e blues un po’ più vicino ad una dimensione metal.
Sembra che il primo cambio di sempre in formazione (il bassista Steve Jewell Jr. è subentrato a Jon Lawhon) sia stato superato in scioltezza, quindi ritroviamo le fiammate chitarristiche di Ben Wells su cui troneggiano come sempre le voci ruvide, potenti e vissute di Chris Robertson, un cantante a cui non serve una ballad per rovesciare un immenso carico emotivo sull’ascoltatore. Dall’intensa “Out Of Pocket” alla toccante “Nervous” all’anthemica “Who Are You”, passando per un’insolitamente solare “Smile World” e una grave “You Can Have It All”, i BSC coinvolgono in un viaggio trascinante e schietto, riflessivo ed elettrico.
Continuando una tradizione emozionante e coinvolgente seppur in confini ben delineati e con influenze molto definite, “Screaming At The Sky” segna la permanenza ad un livello nettamente superiore alla concorrenza, in un campo da gioco in cui quasi nessuno può avvicinarsi al quartetto del Kentucky. Probabilmente i BSC non scriveranno mai un classico in senso assoluto, ma il confronto se non avviene con mostri sacri può avvenire solo con loro stessi.