7.0
- Band: BLACK TUSK
- Durata: 00:34:34
- Disponibile dal: 29/01/2016
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Quanti avrebbero scommesso sul futuro dei Black Tusk, dopo la tragica morte di Jonathan Athon poco più di un anno fa? Non molti, immagino, e nemmeno il sottoscritto in effetti. Un terzetto di amici, vicini di casa, assieme on the road da quasi dieci anni, affiatati e potenti, improvvisamente sgretolato: ma a dispetto di queste premesse, e nonostante nei credit dell’album il bassista resti (e resterà per sempre, immaginiamo) Athon, il miracolo pare riuscito. Il suo sostituto Corey Barhorst, dopo aver dimostrato dal vivo di essere parte integrante e fruttuosa della band, ha evidentemente avuto il suo rilevante ruolo in studio: al di là del sempre egregio lavoro alla batteria (leggasi: tritaossa), o delle linee di chitarra che deliziosamente ricamano invidiabili riffoni, il basso suona potente e trascina come una locomotiva in tutti i brani. A partire dall’opener, l’esaltante “God’s On Vacation”, che presenta quella capacità di colpire nel segno e avvinghiare l’ascoltatore che sembra ormai il segreto di ogni band sludge che si rispetti (basti pensare a come si aprono al testosterone gli ultimi lavori di High On Fire o Conan, per citare due esempi facili facili). L’album scorre poi sinceramente via rapido, affilato, potentissimo quasi senza soluzione di continuità e, forse unico piccolo difetto, senza troppi pezzi che si staglino sopra la soglia, comunque, della buona fattura. Certo, meritano almeno menzione “Bleed On Your Knees”, forse il pezzo più bello del lotto, grazie a una cadenza quasi ipnotica, un cantato aspro, rabbiosissimo, veramente NYHC; oppure “Born Of Strife” , che si apre con quella potenza divenuta ormai un marchio di fabbrica per le band di Savannah, e che proprio per questo non deludono mai. E nel calderone di undici canzoni dal tiro invidiabile arriviamo fino alla conclusiva “Leveling” con un piglio da manifesto sludgecore prossimo ai Crowbar, ma il cui finale è affidato a un emozionante pianoforte. Addio, ci piace pensare, a Jonathan; ma parimenti, da parte nostra, la scusa per un emozionato e caloroso “bentornati!” a Andrew e James (e Corey).