7.5
- Band: BLACKBRAID
- Durata: 01:06:00
- Disponibile dal: 07/07/2023
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Sgah’gahsowáh, l’uomo dietro Blackbraid, avrebbe molte storie da raccontare. A cominciare dalla propria: trentenne dello Stato di New York, nativo americano ma registrato all’anagrafe con un nome tedesco (è figlio adottivo di una coppia bianca), autoproduce pressoché dal nulla due album black metal in due anni, passando in un batter d’occhio dalla carpenteria all’Hellfest. Le storie che Sgah’gahsowáh preferisce raccontare con la sua one-man-band, però, sono quelle epiche e tragiche del popolo da cui proviene; ma anche le storie della Natura, cantata come dimensione spirituale alla quale tutti siamo chiamati a connetterci.
Proprio la componente narrativa è una delle caratteristiche vincenti di “Blackbraid II”, uscito solo undici mesi dopo il suo interessante predecessore “Blackbraid I”. L’attitudine da cantastorie di Sgah’gahsowáh tiene alta l’attenzione dell’ascoltatore nonostante la durata piuttosto importante dell’album, che quasi raddoppia quella del disco d’esordio.
Non cambia, invece, la formula di fondo, ovvero una sintesi personale ed efficace che pur collocandosi nel solco gruppi come Agalloch, Wolves In The Throne Room e Panopticon (ma anche di realtà più di nicchia, come i Nechochwen), guarda tanto alla seconda ondata della scuola norvegese, quanto alle new sensation del black internazionale. L’evidente genealogia di alcune idee rimane uno dei limiti del progetto Blackbraid, che sebbene dimostri di aver meglio definito la propria identità, risulta in alcuni passaggi ancora un po’ manieristico. Ciononostante, il songwriting intrigante, l’ottimo senso della melodia e un’ autoproduzione più che rispettabile fanno di “Blackbraid II” un album che cattura fin dalle prime note, la cui parziale prevedibilità si fa perdonare con una certa genuinità di fondo e con la capacità di emozionare anche nei passaggi più ruffiani.
Il dialogo tra l’opener “Autumnal Hearts Ablaze” e la successiva “The Spirits Rerturns” offre subito un esempio del gioco di specchi che caratterizza tutta la struttura di “Blackbraid II”, in cui curatissime parentesi acustiche e sezioni prettamente metal si fanno eco a vicenda. Accoppiando invece “The Spirit Returns” alla seguente “The Wolf That Guides the Hunters Hand”, si ottiene un vero e proprio manifesto del sound di Blackbraid: riff quasi cantabili, ritmo trascinante, bilanciamento ideale tra ferocia e melodia – come vuole la tradizione cui Sgah’gahsowáh fa riferimento. La ricetta sarà anche nota, ma quello che l’artista dell’Adirondack mette nel piatto è fresco e appagante. Quanto ai rimandi sonori alla cultura nativo-americana, suggeriti da interventi di flauti e percussioni, fanno la loro comparsa solo dopo il primo quarto d’ora. Come in “Blackbraid I”, le suggestioni tribali sono richiamate in più occasioni e ben contestualizzate, ma non risultano mai davvero preponderanti.
Solo dopo la metà si cominciano a fare i conti con un altro possibile limite di “Blackbraid II”, ovvero la sua la già citata estensione. Per quanto scorra fluida, infatti, l’ora abbondante di ascolto non sembra sempre del tutto giustificata. Se pezzi come quelli menzionati fin qui funzionano dall’inizio alla fine, tracce quali “Moss Covered Bones on the Altar of the Moon” e “A Song of Death on Winds of Dawn” danno un po’ l’impressione di trascinarsi lungo il loro ambizioso minutaggio. Interessante, infine, la scelta di chiudere con una buona cover di “A Fine Day to Die” dei Bathory, che pur distaccandosi dall’atmosfera generale del disco, dà il piacere di un piccolo extra prima del sipario.
Al netto delle imperfezioni, siamo davanti ad un disco evocativo e convincente, notevolmente maturo se rapportato alla fulmineità con cui il progetto di cui porta il nome sta procedendo. Insomma, “Blackbraid II” potrebbe essere, se non lo è già, l’album della consacrazione di Sgah’gahsowáh tra gli artisti da tenere d’occhio nei prossimi anni. Senza dubbio Blackbraid, più catchy e dichiaratamente meno politicizzato di altre realtà della scena indigenous black metal, ha tutte le caratteristiche per ritagliarsi un proprio spazio nel panorama underground.