8.0
- Band: BLACKFIELD
- Durata: 44:01
- Disponibile dal: 10/02/17
- Etichetta:
- Kscope Music
- Distributore: Audioglobe
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‘La vita è un oceano / Devi nuotare / I tuoi occhi diventano salati / Più ci entri dentro’. L’oceano e il ciclo della vita. Il nuovo lavoro della coppia Geffen-Wilson. Più che in passato – lo diciamo subito – la collaborazione tra i due arriva ad uno degli apici dell’alchemica combinazione di un easy listening di immediato entusiasmo e una contigua ricerca di gusto e raffinatezza che si è ormai avvicendata al nome del progetto e ai suoi relativi partner creativi. L’album, inizialmente previsto per Novembre 2016, slitta alla data del 10 Febbraio 2017 e presenta circa un anno e mezzo di collaborazione e di lavoro di produzione e composizione, tra il 2015 e il 2016, proprio quando si pensava si fosse messa la parola fine al progetto Blackfield, dettata in primis da un certo progressivo allontanamento del polo wilsoniano. Tra i due nomi di punta figura qui anche un certo Alan Parsons, che qualcuno ricorderà per un certo “The Dark Side Of The Moon”, e la qualità dei suoni di questo “V” risulta pressoché vicina a quanto di meglio si possa aspettare dalle pedine messe in campo. Il rock d’appeal di “Lately” riesce a riportare in auge i momenti di “Stupid Dream” e “Lightbulb Sun” dei Porcupine Tree, premendo però sui toni portanti di Aviv Geffen, un po’ come era stato fatto nei momenti migliori di “Welcome To My DNA” e “IV”, scritti fondamentalmente dal compositore israeliano, ma ancora più (ri)connesso a quella sorta di alchemica connessione col suo compagno, come appare anche in “Life Is An Ocean”, scritta da entrambi e capace di dominare per importanza, forma e contenuto. Una collaborazione quasi arrivata al quindicennio, dal primo brano che figurava i due musicisti insieme, in quel mezzo capolavoro che era “In Absentia” e da lì si è mosso in lidi sempre, pur con gli alti e bassi del caso, validi ed interessanti, introdotti dal primo ed ottimo “I” e dal suo superbo successore “II”. Inevitabilmente la decisione stessa di portare avanti il progetto Blackfield ha dalla sua una passione e un’intenzione molto più ampia che il mero sviluppo commerciale di un side-project, ma vuole cavalcare, probabilmente, il periodo di forma che sicuramente contraddistingue questi ultimi anni di carriera dei musicanti: in particolare quello di Wilson, che ha recentemente affermato di aver perfino, a suo malincuore, lasciato da parte la famiglia per la musica (un eco che qualcuno potrebbe identificare con l’intima “Family Man”), ma anche – finalmente – un risultato tra i più alti della composizione di Aviv Geffen, almeno all’interno del progetto Blackfield. La passione per la musica si sente. E in lidi progressive rock (ma in qualunque ascolto di musica tout court) è quanto di più alto possa rendere valido il tempo speso con le orecchie e la mente attenta alle sonorità messe sul tavolo. Brani avvicinati come “The Jackal”, la seguente e strumentale “Salt Water” e “Undercover Heart” sarebbero la felicità di qualunque ascoltatore avesse tra le mani un nuovo lavoro dei singoli musicisti solisti, o dei Porcupine Tree, o di un qualunque lavoro prog rock britannico: capaci di suggerire atmosfere rarefatte, tocchi di gusto, melodie suadenti e, in questo caso, marine, salate e ventose come quell’aria che si respira in un porto inglese all’alba di una giornata di sole. “V” potrebbe essere considerato tra le vette più alte del progetto Blackfield; forse senza più quella novità che consisteva nelle strutture Porcupine Tree o dei primi due album del progetto, dalle quasi perfette tonalità chiaroscurali e dai loro pattern più intriganti e allo stesso tempo senza l’immediata ricezione che poteva aver contraddistinto l’ascolto degli ultimi due lavori, ma pur sempre un ascolto dotato di tutte quelle caratteristiche che si richiedono ad album di questo tipo: ricercatezza, immediatezza, ottimi brani. Il batterista Tomer Z rende giustizia alle tonalità suadenti delle composizioni che ritornano ad avere il giusto bilanciamento tra le due parti in campo (i precedenti due album erano in effetti pressoché opera di Geffen, così come i primi due a maggiore influenza wilsoniana) e l’apporto della London Session Orchestra in alcuni momenti rende il livello d’arrangiamento a livelli di gusto e professionalità assolutamente invidiabili a qualunque prodotto di genere. L’opera di Parson – relegata a soli tre brani – si avvicenda a quella di produzione di Wilson e complessivamente, pur non risultando un vero e proprio album organico nel processo creativo ma solo come risultato finale, sembra che il tutto scorra nel migliore dei modi. Una sorta di best of degli ultimi due anni compositivi del duo Wilson-Geffen, tinto con un concept più di immagine che di sostanza, ma capace di entusiasmare in ogni singola parte, amplificata da suoni quasi perfetti e un retrogusto ottimistico che è comunque un piacere rimanga sulla pelle, come la salsedine a fine giornata che il vento ha stampato sulla pelle di coloro che guardano il mare. Un piacere sapere che il progetto Blackfield è tornato a splendere. Un piacere sapere che sensazioni come questa esistano ancora nella musica prodotta al giorno d’oggi.